Il tacco di Allah che fece grande il Porto

Il tacco di Allah che fece grande il Porto
Il tacco di Madjer

E’ il 1984, quello vero non quello del romanzo di Orwell, e l’estate portoghese prosegue tranquilla. Il vento proveniente dall’Atlantico rinfresca e sferza le canne dei pescatori di Oporto che cercano pesci e refrigerio nel fiume Douro, il più importante della città. Il vento di cambiamento che nel mondo spira forte sull’onda informatica dei primi computer qui arriva calmo, pacato, al ritmo lento e malinconico del fado che risuona nei vicoli della città. Eppure qualcosa che riscaldi il cuore e faccia ribollire l’anima di questa popolazione silenziosa e riflessiva c’è, quel qualcosa è senza dubbio il Porto. No, non si sta parlando del vino liquoroso che ha reso questo luogo famoso in tutto il mondo, anche se c’è da giurare che anche quello abbia il suo appeal sulla popolazione locale, ma in questo caso si parla di calcio, semplicemente di quello che da queste parti chiamano O Futebol Clube do Porto.

Il Porto in quel periodo è una squadra di tutto rispetto. Il campionato 1983/84 è stato chiuso al secondo posto ma sono state portate a casa la coppa e la Supercoppa di Portogallo, oltre che una finale di coppa delle Coppe persa contro la Juventus. Insomma le cose per i Dragoes, i dragoni, non vanno affatto male. Tuttavia il presidente Pinto da Costa, proprio quello che oggi si fa pagare i propri campioni fino all’ultimo centesimo e all’epoca da poco in carica, soffriva (e con lui tutti i sostenitori biancazzurri, i tripeiros, letteralmente mangiatori di trippa) di una sorta di complesso d’inferiorità nei confronti degli altri due grandi club del calcio lusitano, Benfica e Sporting Lisbona, poiché il suo Porto era l’unica grande portoghese a non aver mai vinto una competizione europea e la sconfitta dell’anno precedente in finale contro la Juventus non aveva contribuito a migliorare le cose. Così nell’ormai nota estate dell’84 la squadra fu affidata a Artur Jorge, tripeiro doc, con un passato da calciatore proprio tra i Dragoes oltre che con i rivali storici del Benfica e un solo compito: vincere una coppa europea.

Dire che il neotecnico del Porto non centrò l’obiettivo europeo al primo anno sarebbe un pesantissimo eufemismo. L’edizione 1984/85 della coppa delle Coppe, infatti, vede i vicecampioni di Portogallo uscire addirittura al primo turno contro i semisconosciuti gallesi del Wrexham. Ciò nonostante, il Porto, ha l’ossatura della grande squadra. Tra le sue fila militano giocatori importanti come la scarpa d’oro 1983 Fernando Gomes, il talento emergente Paulo Futre, l’attaccante Vermelhinho, il portiere Zé Beto e il difensore Joao Pinto. Ebbene questi campioni contribuirono a togliere quel fastidioso prefisso, vice, dal titolo di campione di Portogallo. Il Porto infatti vince il campionato guidato dai ben 39 gol di Fernando Gomes che gli valgono la seconda scarpa d’oro in tre anni e che valgono ai Dragoes 8 punti di vantaggio sullo Sporting Lisbona.

Artur Jorge, però, per rimediare in parte alla figuraccia europea deve fare di più l’anno successivo. L’impresa diventa ancor più difficile poiché la ribalta europea nella stagione 1985/86 sarà la coppa dei Campioni, ben altra cosa rispetto alla coppa delle Coppe. Pinto da Costa lo sa e mette a disposizione del suo allenatore due giocatori importanti in più. Il primo è Jorge Juary, attaccante brasiliano in cerca di riscatto dopo un’altalenante esperienza italiana durata cinque anni. Il secondo è la punta algerina Rabah Madjer proveniente dal Tours e, fino a quel momento, non troppo noto. Chissà chele canne e le reti dei pescatori del fiume Dougo, tra un fado e un Porto, non abbiano captato che quei due signori avrebbero cambiato la vita della loro squadra. In ogni caso la coppa dei Campioni è dura, durissima, e il Porto lo capisce a proprie spese quando dopo aver eliminato il quotatissimo Ajax al primo turno, deve soccombere agli ottavi di finale contro il Barcellona: il sogno europeo è sfumato di nuovo. Per poterci riprovare l’anno successivo i Dragoes devono però vincere quel campionato e dopo un testa a testa entusiasmante con gli odiati rivali del Benfica, ci riescono. La gioia per il secondo titolo di campione di Portogallo tra gli uomini di Artur Jorge sicuramente è tanta, ma niente a confronto della voglia di riscatto europeo che li animerà nella stagione successiva.

Pur avendo vinto due titoli in due anni, Artur Jorge non era soddisfatto. Il suo Porto giocava un calcio spettacolare, offensivo, a differenza del classico gioco lento e compassato lusitano e aveva tutte le possibilità per provare a portare un raggio d’Europa sulle sponde dell’Atlantico. Inoltre, il presidente Pinto da Costa, lo aveva assunto per il solo scopo europeo. Di campionati portoghesi in bacheca ce n’erano tanti ma di coppe europee da queste parti non ne avevano mai viste. Insomma nella stagione 1986/87 la Primeira Divisão può passare in secondo piano perché all’Estadio das Antas (dove il Porto ha giocato fino alla costruzione del Dragão nel 2003) l’attenzione era tutta rivolta alla coppa dei Campioni. Al primo turno la rabbia biancazzurra si abbatte sui malcapitati maltesi del Rabat Ajax che, tra andata e ritorno, prendono dieci gol e vengono rispediti a Malta. Anche gli ottavi non creano troppi problemi a capitan Joao Pinto e compagni. Dopo aver perso 1-0 in Cecoslovacchia contro il Vitkovice, ad Oporto il risultato viene ribaltato con un secco 3-0 in favore dei Dragoes. Ai quarti sono i danesi del Bröndby ad essere eliminati con un po’ di fatica dopo il pareggio in Danimarca per 1-1. Senza faticare troppo il Porto si ritrova in semifinale contro un’altra outsider: la Dinamo Kiev del colonnello Lobanovski. L’andata si gioca l’8 aprile 1987 ad Oporto, nelle acque del Dougo quella sera probabilmente non c’erano reti, canne, pescatori, forse nemmeno i pesci, perché quella sera c’era un appuntamento con la storia all’Estadio das Antas. Il baby talento Futre e Antonio Andrè decidono di non farla aspettare e a inizio ripresa con un uno-due terribile lanciano i Dragoes verso la finale portando il risultato sul 2-0. Pavel Yakovenko, però, riporta il dragone a terra a un quarto d’ora dalla fine quando segna il 2-1 che riapre i giochi in vista del ritorno. Due settimane dopo a Kiev, il sogno si materializza. Dopo appena 13 minuti Mikhailicenko segna per gli ucraini, ma prima di lui erano stati il brasiliano Celso e il grande bomber Fernando Gomes a mettere sull’aereo per Vienna, sede della finale, gli uomini di Artur Jorge. Il Porto è a un solo passo dal suo sogno, dalla sua ossessione di sempre: la coppa dei Campioni.

Al Prater di Vienna si gioca il 27 maggio 1987. Il Porto parte da sfavorito, per non dire spacciato, perché di fronte si trova il Bayern Monaco di Matthaus, Hoeness e Rumenigge Jr., senza contare che deve fare a meno di quattro titolari: Jaime Pacheco, Casagrande, Lima Pereira e, soprattutto, quel Fernando Gomes su cui erano riposte le speranze lusitane. Il primo tempo è come ci si aspettava, c’è solo il Bayern in campo e le occasioni per i bavaresi fioccano a iosa e al 25’ arriva il vantaggio tedesco. Magalhães anticipa di testa il proprio portiere servendo un involontario assist alla punta del Bayern, Kogl che di testa non deve fare altro che appoggiare in rete. Si va all’intervallo col Bayern avanti e il Porto alle corde già pronto a gettare la spugna in mezzo al ring viennese. E’ in quel momento, al chiuso dello spogliatoio dei portoghesi, che Artur Jorge prende in mano la penna e inizia a scrivere la storia. Al rientro in campo non c’è più il mediano Quim, al suo posto Jorge ha messo dentro un altro Jorge: Juary. Il Porto con tre punte, Juary, Futre e Madjer è un’altra squadra. Il Bayern viene schiacciato nella propria metà campo e al minuto 78 arriva il pareggio. Juary se ne va a destra, mette un cross teso sul primo palo dove si avventa Madjer che, di tacco, anticipa il portiere e deposita in rete il pareggio oltre che all’anagrafe il suo nuovo soprannome. Da quel momento in poi Madjer sarà “Il tacco di Allah”. Ma Allah quella sera tifava spudoratamente per i portoghesi perché due minuti dopo Madjer, scatenato, mette in mezzo un cross da sinistra sul quale si avventa Juary che non può far altro che segnare il gol che rompe la maledizione. Il Porto vince 2-1, e porta a casa il primo trofeo (e che trofeo) continentale della propria storia. Una storia in cui entra a far parte Jorge Juary, arrivato come meteora della provincia italiana, con un bagaglio riempito di qualche gol ad Avellino e Cremona e famose esultanze attorno alla bandierina del calcio d’angolo, e diventato in una notte, la più importante, un protagonista di una squadra leggendaria. Ancora oggi, sul fiume Dougo, i pescatori cercano pesci e refrigerio ma per scaldarsi l’anima di fronte a un bicchiere di Porto raccontano la leggenda del gol di Juary e del tacco di Allah.

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