Un americano a Kabul: la strana storia di Nick Pugliese
Nick Pugliese è un giovanissimo neolaureato in scienze politiche e filosofia al Williams College of Massachusetts, studente eccellente e con il desiderio di fare un’esperienza di vita e lavoro in un paese in via di sviluppo. È così che appena dopo la fine del corso di studi, nel giugno del 2012, finisce a Kabul, capitale afghana, dove accetta l’offerta del più grande gestore telefonico del paese, la Roshan.
Ma la più grande passione di Nick – chiare origini italiane, bisnonni siciliani migrati a New York – è il calcio. Il suo sogno è giocare nella Major League Soccer americana; durante gli anni universitari milita nella squadra del college indossando la fascia di capitano.
Ed è la grande voglia di tornare a giocare a pallone che porta Nick Pugliese a rinunciare allo stipendio importante della Roshan (tremila dollari più benefit vari) in cambio dei trecento dollari mensili offerti dal Ferozi Kabul FC, club militante nella Kabul Premier League. E niente a che vedere con il salario minimo di una qualsiasi squadra di MLS.
Per arrivare a giocare nel Ferozi, nei mesi precedenti, Nick deve insistere molto con l’azienda e con le autorità: “Dopo la laurea ero interessato a lavorare in un’azienda di un paese emergente. Attraverso la mia università sono arrivato alla Roshan nel giugno 2012. Però mi mancava lo sport, impeditomi a causa delle rigide misure di sicurezza”.
Dopo alcune trattative Nick ottiene di poter giocare in una squadra dilettantistica ogni due settimane, ma senza allenamenti nel Ghazi Stadium, dove avrebbe rischiato troppo la sua incolumità fisica. Un giorno, poi, un suo compagno di squadra lo presenta all’allenatore del Ferozi che gli propone di entrare a far parte della rosa del club. Dopo un periodo in cui, per allenarsi in segreto, era costretto a chiedere permessi alla Roshan, Nick si licenzia: “Mi sono dovuto licenziare dalla Roshan perchè non sarebbe stato possibile fare entrambi i lavori”.
La notizia non è presa benissimo in casa Pugliese, a Rochester, stato di New York: il pericolo di tentati omicidi agli yankees, rapimenti, suicidi, erano concreti. Tutti rischi derivanti dal suo essere cittadino americano in una terra, l’Afghanistan, invasa militarmente, oltre che bombardata, più di dodici anni fa dagli Stati Uniti d’America.
“Non escludo anche il rischio di essere rapito, ovviamente ciò che all’inizio preoccupava me e i miei genitori. Eppure, in generale, posso dire di sentirmi sicuro”.
È la magia dello sport che permette a Nick Pugliese, 23enne centrocapista americano, di integrarsi perfettamente nella comunità islamica di Kabul. La lingua è un ostacolo iniziale, ma l’impegno profuso da Nick gli permette di farsi capire dagli afghani parlando un misto tra inglese e dari (la lingua locale).
Questa può sembrare una storia insignificante, episodica. Ma se riuscissimo ad andare oltre una prospettiva superficiale, potremmo intravedere il vero significato dello sport, in questo caso del calcio, che va ben oltre l’aspetto agonistico e professionale. Il calcio a volte può essere una chiave in grado di aprire se stessi alla comunità, per quanto diversa essa sia; un martello capace di abbattere il muro dell’odio e dell’intolleranza. Nick Pugliese è uno yankee in terra afghana, ma a suon di gol è diventato un cittadino di Kabul come tanti, che si ritrova per strada a festeggiare la vittoria per 3-0 della nazionale di calcio dell’Afghanistan nello storico incontro dell’amicizia contro il Pakistan (partita che si evitava da 36 lunghi anni, per motivi politico-militari): “I calciatori ballavano, così come la gente per strada, io stesso ballavo, c’era felicità ovunque” scrive Nick sul suo blog il 20 agosto scorso.