Hugo Maradona, fratello di Diego Armando
Se il tuo cognome è Maradona e calci un pallone, il tuo destino sarà segnato. Il paragone riguarderà sempre, costantemente, il dio pagano del calcio: Diego Armando. A volte si nasce senza sapere che un giorno verrai ricordato unicamente come “fratello di” e tale rimarrai nonostante tutti gli sforzi che ti prodigherai di fare per emergere, per brillare di luce propria. Nello sport è accaduto e accadrà tante volte, soprattutto nell’ambito di una stessa disciplina: Serse Coppi, Ferruccio Mazzola (al contempo pure “figlio di”), Prudencio Indurain, Ralf Schumacher. Se poi il tuo cognome è Maradona e calci un pallone, il tuo destino sarà segnato. Il paragone riguarderà sempre, costantemente, il dio pagano del calcio: Diego Armando. Nel caso specifico i fratelli sono due: Hugo Maradona e Raúl Maradona, detto Lalo. Raúl Alfredo, classe ’66, debutta col Boca Juniors collezionandovi 3 sole presenze. Quindi prova l’avventura in Spagna, nel Granada in Segunda División (la nostra Serie B). Il 18 novembre 1987, in uno stadio traboccante spettatori, va in scena un amichevole contro gli svedesi del Malmö. Attrazione della partita: in campo con la maglia biancorossa ci sono tutti e 3 i fratelli Maradona. Lalo indossa la maglia numero 10, Diego la 9 con fascia di capitano al braccio (segnerà una delle sue punizioni) e la partita termina 3-2 per la squadra di casa. Nonostante questo inizio mediaticamente roboante, al termine del campionato la squadra andalusa – oggi di proprietà della famiglia Pozzo – retrocede in Segunda División B (la nostra ex Serie C1). Raúl colleziona 19 presenze e 2 soli gol. Da lì intraprenderà un vagabondaggio calcistico tra Argentina, Giappone, Canada, Perù e Venezuela.
La carriera di Hugo El Turco Maradona
Hugo Hernán Maradona, detto El Turco, nasce a Lanús il 9 maggio del 1969 e lascerà un appena più consistente segno nel mondo del calcio. E frasi, dette da lui stesso o sul suo conto, ormai divenute pietre miliari. Va detto subito che Huguito ricama col destro. Infatti nella primavera del 1985 gioca con la maglia della sua nazionale i mondiali under 16 in Cina. Ruolo? Fantasista, neanche a dirlo. Durante Argentina-Congo, terminata 4-2, segna una doppietta infilando anche una punizione all’incrocio dei pali, specialità di famiglia. Diego così consegnerà alla storia questa frase: «Diventerà anche più forte di me». Non è dato sapere se El Pibe de Oro conosca la cover di Angel of the Morning dei Profeti, quella in cui cantano «Aveva gli occhi dell’amore…», certo è che stavolta gli occhi non sono verdi. Hugo debutta in Primera División con l’Argentinos Juniors così come aveva fatto il fratello maggiore e in uno dei raduni della Selección dopo il mondiale vinto in Messico, Diego convince il ct Carlos Bilardo a convocare anche El Turquito per fare in modo che, frequentando il gruppo della nazionale, possa maturare prima. Gioca 2 anni nell’Argentinos (19 presenze, un solo gol) ed al termine del biennio Dieguito, campione del mondo e campione d’Italia in carica, convince il presidente Ferlaino a portare suo fratello al Napoli. A quel punto si tratta di trovargli una squadra dove parcheggiarlo in prestito in quanto in Serie A possono essere tesserati solo 2 stranieri per club. E l’altro straniero del Napoli si chiama Antonio Careca. Ad occuparsi delle trattative è Luciano Moggi, direttore generale dei partenopei. Il Pisa neopromosso, per voce del suo vulcanico presidente Romeo Anconetani, rifiuta con uno sdegnato: «No, grazie!» Per il Pescara, anch’esso neopromosso, è il tecnico Giovanni Galeone a dire: «Cedete pure Pagano al Napoli, ma non fatevi appioppare Hugo Maradona, per carità!» Alla fine è Costantino Rozzi, istrionico presidente dell’Ascoli, ad accettare di mettere sotto contratto l’argentino per la stagione ’87/’88. Diverrà così il più giovane calciatore straniero dal dopoguerra. Per favorire il buon esito della trattativa, all’Ascoli – fresco vincitore della Mitropa Cup – vanno in prestito anche Costanzo Celestini e Fabio Carannante, in pratica 3 giocatori a costo zero per i bianconeri.
L’arrivo in Italia e l’addio repentino
Ilario Castagner, allenatore dei marchigiani, durante la preparazione si sbilancia: «Possiede un ottimo controllo che gli permette dribbling strettissimi e rapidi. Arriva in area in ottime condizioni per il tiro a rete. Sa dare bene anche la palla ai compagni, passaggi millimetrici e smarcanti. E non è male nemmeno il tiro: secco e preciso». Sembra l’inizio di una favola, ma Hugo Maradona debutta in panchina. Gioca in tutto 13 partite (anche al San Paolo contro Diego), 3 sole volte come titolare indossando la maglia numero 10, senza lasciare traccia di sé. Castagner gli preferisce il più prosaico Paolo Giovannelli, l’Ascoli riesce comunque a salvarsi dalla retrocessione grazie ai gol di Wálter Casagrande Júnior – tra gli altri gioca pure Flavio Destro, padre di Mattia – e tutta l’Italia si rende conto che “Maradonino” è inadeguato per la Serie A. Un quotidiano dell’epoca scrive: «Il baby Maradona si è installato in un appartamento con un’amica napoletana. Ha diciotto anni, la faccia imberbe, una tecnica semi-squisita che sciorina sin dal debutto, ma nessuna voglia di soffrire». Così nell’estate del 1988 il Napoli riesce a spedirlo in Spagna, al Rayo Vallecano in Segunda División. In terra iberica colleziona in tutto 35 presenze siglando 6 reti, contribuendo alla promozione della terza squadra di Madrid nella Liga e rilasciando ad El País questa dichiarazione gemma: «Non siamo attori. Gli attori si vestono, si truccano. Noi entriamo in battaglia senza inganni. Il pubblico paga per lo spettacolo. Al teatro gli attori non perdono. Il pubblico esce contento. Questo è il rischio del calciatore. Se perde, la gente può tirarlo giù dal piedistallo». A fine stagione finisce in Austria al Rapid Vienna (6 sole presenze e nessun gol) dove chiude la sua avventura europea anche per mancanza di adattamento al rigido inverno austriaco.
Venezuela, Giappone e Nord America
Cambio deciso di clima e Hugo Maradona gioca un anno in Venezuela nel Deportivo Italia di Caracas – compagine fondata da emigrati italiani, oggi Deportivo Petare – e futura squadra di suo fratello Raúl. Poi passa al Progreso di Montevideo nella Primera División Uruguaya, senza mai scendere in campo. Hugo decide di tentare la fortuna in un altro continente e nel 1992 atterra in Giappone per giocare nella Football League, campionato non ancora professionistico e a dimensione regionale. Debutta coi PJM Futures di Shizuoka (oggi Sagan Tosu). Il più piccolo dei Maradona diventa subito un idolo. L’anno seguente nasce la J.League, la lega professionistica, di cui la Football League diviene la seconda divisione. Nel 1995 El Turco passa ai Fukuoka Blux (ex squadra di Lalo) divenendo protagonista della promozione in massima serie e dove gioca l’anno successivo mentre la squadra ha cambiato nome in Avispa Fukuoka. Poi va a giocare nel Consadole Sapporo, lasciando bei ricordi, una promozione e una stagione in J.League a suon di gol. A questo punto Huguito riattraversa l’Oceano Pacifico ed approda in Nord America per giocare in modo anonimo coi Toronto Italia – altro club fondato da emigrati italiani ed ex squadra di Raúl – nella Canadian Professional Soccer League. Poi torna in Argentina e chiude la sua carriera nella stagione ’99/’00 con l’Almirante Brown de Arrecifes in Segunda División, squadra nella quale ha già giocato nelle giovanili.
Hugo Maradona Wikiquote
Hugo MARADONA (II) – come recita l’album delle figurine, pur essendo lui il terzogenito – torna in Italia nel 2012 come coordinatore tecnico della scuola calcio Mariano Keller di Napoli, in seguito passa ad allenare nelle giovanili del Boys Quarto. Nel Bel Paese ha trovato la sua futura moglie e lasciato zero gol e una serie di affermazioni perfette per la Gialappa’s Band:
- «Voglio diventare un protagonista del vostro calcio e rispondere sul campo al veleno di tante chiacchiere. Pescara e Pisa non mi hanno voluto? Hanno detto che sono la controfigura di Diego? Se ne pentiranno amaramente!»
- «Chi sono? Un centrocampista puro, un vero trascinatore. Mi sono buttato anima e corpo in questa terribile cura del signor Castagner perché la maglia numero 10 la pretendo subito, sin dalla prima partita in Coppa Italia.»
- «Guardi queste gambe: sono di acciaio. Quando le agito sono due pale che nessuno può fermare. Si ricorda il gol di Diego contro gli inglesi? Be’, se voglio, la palla non me la toglie nessuno! Io so conquistarla e difenderla coi denti!»
- «Io non sono un giocoliere, non sono un clown! Io sono altruista, io sono un calciatore ultramoderno! Trascino i compagni, rifinisco, segno.»
- «Io ho una mia ben precisa personalità e quando decido di giocare, gioco alla Huguito. Insomma, mi guardo bene di fare la cattiva imitazione di Diego. Sono El Turco o El Turquito e col pallone so fare tutto, anche l’amore se voglio, capito?»
Per la madre – Dalma Salvadora Franco, per tutti Donna Tota – l’unica differenza che c’è tra Diego e Hugo Maradona sta nel fatto che uno è mancino di piede, l’altro no. E si badi bene, solo di piede, perché El Diez per scrivere usa la destra. Un giornalista argentino, al riguardo, sentenziò: «Uno calcia di sinistro, l’altro di destro; uno a sedici anni andava all’allenamento con le scarpe rotte, l’altro ci va a bordo di una Mercedes».