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La generazione dei calciatori che hanno fatto la storia del calcio italiano anni 90 si divide in tre categorie: i campioni, i fuoriclasse e gli Enrico Chiesa. Uno che nasce destro e s’inventa mancino, uno che esordisce da centrocampista e finisce per segnare 138 reti in serie A. Gol belli e mai banali, come la sua carriera, fatta di avventure e prodezze indimenticabili; Enrico Chiesa era, ed è, uno di quei pochi calciatori amati trasversalmente, al di là della fede e del bieco campanilismo. Un privilegio che, in un mondo pervaso dall’odio e dall’antisportività, spetta a pochi eletti. Oggi, a distanza di qualche anno, è di nuovo sul mercato e un po’ dispiace che non si tratti di quello stesso mercato che qualche decennio fa spinse quel Parma stellare a investire 25 miliardi per strapparlo all’amore della Samp. Da allenatore ha esordito proprio con i blucerchiati (tre anni nel settore giovanile). Poi fine delle trasmissioni perché” è giunta l’ora di confrontarmi con il calcio dei grandi”.

Quante e quali soddisfazioni ti ha regalato la tua prima esperienza da tecnico?

“Questo nuovo ruolo mi piace un sacco, diciamo che è una sorta di continuazione della mia carriera. Mi sono tolto delle bellissime soddisfazioni con la Samp, sia da calciatore che da allenatore. Adesso, però, è giunta l’ora di provare una nuova esperienza. Sono in attesa di una chiamata”.

Torneranno utili gli insegnamenti dei grandi allenatori con cui hai lavorato: chi ricordi con maggiore affetto?

“Ho lavorato con tantissimi tecnici eppure non ho mai avuto problemi con nessuno. Ognuno di loro mi ha lasciato in eredità qualche bel ricordo. Sono chiaramente legato a Boskov, è stato lui a farmi esordire in serie A, una persona eccezionale. Con lo stesso Arrigo Sacchi mi son trovato benissimo, peccato poi per com’è finita con la nazionale”.

Arrivi ad Euro 96 in condizioni strepitose: poi cosa succede?

Quanta sfortuna, quanti rimpianti. Eravamo di gran lunga la squadra più forte della competizione e quel gruppo, per valori tecnici, era superiore finanche a quello che partecipò ai Mondiali di Francia 98. Vinciamo bene con la Russia grazie ad una doppietta di Casiraghi. Con la Repubblica ceca fummo parecchio sfortunati, il mio gol non servì a evitare la sconfitta, purtroppo l’espulsione di Apolloni ci mise in difficoltà. Il giorno successivo la stampa attaccò Sacchi, fu criticato perché cambio la squadra che aveva vinto all’esordio ma non poteva fare altrimenti, le “riserve” erano all’altezza dei titolari e in una competizione così breve e spossante non puoi permetterti di giocare sempre con gli stessi. Poi arrivò la gara con la Germania  ma ancora una volta la mala sorte ci mise del suo”.

Enrico Chiesa, dopo l’Europeo, passa al Parma per 25 miliardi di lire: eri consapevole di essere l’attaccante più forte del momento?

“Francamente sì (ride, ndr). Mi si presentò una grande opportunità ma provai fino alla fine a trovare un accordo con Mantovani. Ero molto legato alla Samp, non era facile bypassare l’aspetto affettivo ma eravamo troppo distanti e così decisi di accettare la proposta del Parma. Alla fine fu un affare per tutti: con una parte di quei soldi la Sampdoria prese un certo Veron dal Boca e poi, qualche anno dopo, ci ritrovammo insieme, proprio a Parma”.

Quanto ha inciso quel maledetto problema al ginocchio sul prosieguo della tua carriera?

“Tantissimo. Ero reduce da una splendida stagione con la maglia della Fiorentina ed ero rientrato nel giro della nazionale. Avrei partecipato al Mondiale di Giappone e Corea del 2002. Da quel momento c’è stato un calo, non ero più giovanissimo, d’altronde è sempre complicato recuperare pienamente dopo un infortunio così pesante. Ho continuato a giocare, anche con una discreta continuità ma mi è dispiaciuto da morire non poter salire su quell’ultimo treno”.

Hai giocato al fianco di tantissimi campioni: chi è stato il tuo miglior partner d’attacco?

“Beh, non posso proprio lamentarmi. Mancini era eccezionale è stato un compagno di squadra grandissimo, un fuoriclasse ma anche con Batistuta l’intesa funzionava perfettamente. Mi son trovato più o meno bene con tutti, anche con lo stesso Nuno Gomes a Firenze.  Riuscivo ad adattarmi sia da prima che da seconda punta quindi difficilmente potevano emergere problemi d’intesa tra me e ed un altro attaccante”.

Ci racconti qualche aneddoto simpatico legato alla tuo passato da calciatore?

“Ce ne sono tantissimi. Penso spesso alle parole di Carlo Ancelotti. Il mister, un giorno, mi spiegò che le difficoltà dell’allenatore non stavano nella scelta degli undici da mandare in campo anzi, quello era il compito più semplice per un tecnico. Il problema era decidere chi mandare in panchina e chi addirittura in tribuna. All’epoca faticavo a capire ma oggi, da allenatore, ho capito quanto avesse ragione”.

Il tuo gol più bello?

Faccio fatica a individuarne uno ma per bellezza ed importanza scelgo quello realizzato in finale di Coppa Uefa, a Mosca, contro il Marsiglia: Veron avanza palla al piede sulla destra e mette il cross, Hernan (Crespo, ndr) fa velo e io di prima intenzione la metto all’incrocio. Ce n’è anche un con la maglia del Siena, contro il Bologna. Nel 96, quando ancora indossavo la maglia della Samp, battemmo in casa la Juventus e realizzai una doppietta: il secondo gol fu davvero bello”.

Da Enrico Chiesa a Federico Chiesa, promessa della primavera viola: cosa gli consigli?

“Cerco di entrare meno possibile nelle sue questioni professionali, non è nel mio stile. Oramai da dieci anni è a Firenze, lavora a contatto con fior di professionisti e sta crescendo molto bene. Ha diciotto anni ma ha già un fisico più grosso del mio (ride, ndr). Per ora gioca e si diverte, va bene così. Sa che per arrivare a certi livelli non bisogna mai mollare, il passaggio dalla primavera alla prima squadra è molto delicato, va vissuto in un determinato modo. Mi auguro che possa togliersi delle soddisfazioni importanti”.

Cosa cambia, emotivamente, nel passaggio dal calcio giocato alla panchina?

“I gol in una finale restano nella storia e ho avuto la fortuna di realizzarne. La crescita di un ragazzo che alleni e che migliora giorno dopo giorno è una grande gioia, ti resta dentro per tutta la vita”.

Mariaclaudia Catalano

Giornalista pubblicista, inviata d’assalto classe ‘89, una vita in radio e al tg, content editor per vocazione. Convertita al SEO non posso più farne a meno

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