Fabio Quagliarella: l’Araba Fenice e il suo volo verso l’azzurro
E’ tornato, ancora una volta. E’ tornato a fare ciò che sa far meglio, segnare. E’ rinato a Torino, nella metà granata della città, ha gioito, si è eclissato ed è scomparso. Si è annullato, per poi rinascere. Dalle proprie ceneri, sì, come l’Araba Fenice. “Post fata resurgo”-“Dopo la morte torno ad alzarmi”, può essere questa la frase che al meglio riassume la carriera calcistica di Fabio Quagliarella sino ad oggi. Post fata resurgo, il motto della Fenice, il motto del nuovo, vecchio, attaccante della Sampdoria.
Nuovo e vecchio, sì. Perché a Genova Quagliarella è esploso calcisticamente dieci anni fa e ci è tornato dopo aver smarrito la via maestra, quella che troppe volte, per demeriti suoi, fraintendimenti, equivoci ed un orgoglio che è sempre andato oltre aspetti di campo, di gioco e del quieto vivere, ha dovuto abbandonare per imboccarne un’altra. Ogni volta: eclissarsi, sparire, per poi rinascere dalle proprie ceneri. Come l’Araba Fenice, divenuto simbolo della morte e risurrezione.
“Dopo aver vissuto per 500 anni, la Fenice sentiva sopraggiungere la sua morte, si ritirava in un luogo appartato e costruiva un nido sulla cima di una quercia. Lì si adagiava, lasciava che i raggi del sole l’incendiassero e si lasciava consumare dalle sue stesse fiamme. Dal cumulo di cenere emergeva poi una piccola larva, che i raggi solari facevano crescere rapidamente fino a trasformarla nella nuova Fenice nell’arco di tre giorni, dopodiché, giovane e potente, volava ad Eliopoli e si posava sopra l’albero sacro…”, non dopo tre giorni e nemmeno dopo aver vissuto 500 anni, ma Quagliarella il suo nido l’ha sempre dovuto preparare con accuratezza, in modo minuzioso, prima di abbandonare cieli e luoghi che ha fatto esultare a suon di gol e giocate.
La Serie A lo conosce dieci anni fa con la maglia blucerchiata, ma alla fine della stagione, dopo 13 gol messi a segno, finisce alle buste, con l’Udinese che si riappropria del suo cartellino: qui la consacrazione, con 12 reti nella prima annata e 21 stagionali nella seconda, considerata anche la Coppa Uefa, poi arriva il Napoli e il pubblico del Friuli che placa il suo dispiacere solo con i 16 milioni incassati per il suo trasferimento. In azzurro una sola stagione, 11 gol e un addio che dopo anni è ancora poco chiaro: le incomprensioni di natura tattica con Mazzarri, il feeling mai scattato con De Laurentiis, gli scarsi legami con i sudamericani del gruppo, il rapporto di amore-odio con la tifoseria, da sempre esigente con gli azzurri figli della propria terra. Nemo propheta in patria, allora via alla Juventus, “Qui siamo uno step più avanti”, l’ira dei tifosi azzurri, il sogghignare dei sostenitori bianconeri. Fabio è fatto così, eclissarsi, scomparire, per poi rinascere a nuova vita, con l’ennesima ma intatta versione di se stesso. Resettare e ripartire, un nuovo Quagliarella. Ogni volta.
Dalla Juve la Fenice di Castellammare va via da vincitore, dopo 4 anni e tre scudetti vinti. Va via a fine anno perché poco utilizzato da Conte, ma resta a Torino, sponda granata. Scelta azzardata, ma lo sappiamo: Fabio resetta e riparte, sempre con una nuova versione di se stesso. E i ritorni al passato gli piacciono, lui che a Torino con 7 reti in 34 partite, aveva contribuito a regalare la promozione in A nel 2004/05. Nella sua resurrezione granata sono 17 i gol realizzati, ben distribuiti tra campionato ed Europa League. Vecchio nuovo idolo del popolo Toro, ma l’amore dura una stagione o poco più.
Quest’anno un inizio gagliardo, 4 gol in 4 gare, poi un calo vertiginoso e con la Fenice granata precipita anche il Torino: un leader diventato scomodo, incomprensioni nate senza un perché, nervosismo, poca concretezza e il gol che non arriva più. Fabio lo ritrova nella notte del San Paolo, giorno della Befana, ma il regalo non lo fa ne ai suoi nuovi tifosi e nemmeno a se stesso. Gol e mani alzate sotto la curva azzurra a mo’ di scuse verso il suo vecchio pubblico, nel tentativo di ricucire un rapporto con una tifoseria che non gli ha perdonato l’addio di qualche anno fa, con il popolo granata imbufalito per l’imperdonabile mancanza di rispetto e la mancata esultanza. La Fenice Quagliarella comprende, di nuovo, si annulla e si abbandona ad una lenta agonia: è ora di preparare il nido, chiudere gli occhi e farsi colpire dai raggi di sole. Un nuovo sole.
Ed è rinascita, l’ennesima. Quagliarella riparte dalla Samp, suo vecchio ma mai dimenticato amore. Fino ad ora 7 partite per lui, nelle prime due il minutaggio è scarso, ma nelle ultime cinque, ritrovata forma e ardore, ha messo a segno 3 reti. Due vittorie e tre pareggi da quando veste la maglia blucerchiata, solo due le sconfitte contro Inter e Roma. Tre reti nelle ultime quattro apparizioni per la nuova Fenice doriana, che si è regalata una nuova vita. La Sampdoria è quasi definitivamente uscita dalla zona retrocessione, con un Quagliarella in più che non vuole fermarsi: a nove partite dalla fine l’attaccante di Castellammare punta alla doppia cifra, lui che tra Torino e Samp è fermo a 8 realizzazioni, e c’è tutto il tempo per provarci.
L’impresa è però un’altra, non certo impossibile: la Nazionale. “Perché non dovrei pensarci? Mister Conte mi conosce alla perfezione. Certo, sta portando avanti un progetto con i giovani, ma se gli facesse comodo l’esperienza di un vecchietto, io ci sono”, aveva detto qualche mese fa e, dopo l’ennesima morte e rinascita, come un boomerang le sue parole tornano indietro per donargli una nuova sfida. Conte lo conosce bene e nulla è impossibile. Non certo per Fabio, sempre pronto a rinascere. Ogni volta. “Post fata resurgo”, rinascere dalle proprie ceneri: Quagliarella è pronto, per spiccare di nuovo il volo verso l’azzurro.