Nella tana dei Leoni dello Sporting: l’Estadio Josè Alvalade
Il nostro soggiorno a Lisbona prosegue e, dopo la visita all’Estadio da Luz, stavolta ci siamo recati in casa della “concorrenza”: oggi vi parleremo dell’Estadio Josè Alvalade, fortino dello Sporting Lisbona. Proveremo a raccontarvi la nostra esperienza come se non avessimo già visitato l’altra struttura, minimizzando i paragoni e lasciando ogni possibile confronto al termine dell’articolo, così da farvi godere la descrizione senza pregiudizi o sovrapposizioni di alcun genere. Pronti a tornare in campo? Si parte!
CAMPO GRANDE – Questo titolo non rappresenta una rapida descrizione dello stadio, bensì il nome della fermata della metro che affaccia direttamente sull’ingresso principale della struttura. Collegata alla perfezione con il resto della città anche con autobus di ogni genere, come si nota dallo stazionamento presente proprio ai piedi dello stadio, il Josè Alvalade si erge su una sorta di piccola collina che sovrasta una vasta area in cui strutture moderne si intrecciano con enormi zone di verde. Notiamo subito una notevole fila alla biglietteria principale e, chiedendo ai tifosi il motivo di tanta affluenza, ci rendiamo conto che oltre ai biglietti per il match di campionato contro il Rio Ave che avrebbe avuto luogo da lì a due giorni, in tanti si anticipano nell’acquisto dei ticket per l’incontro di Europa League contro il Bayer Leverkusen. Approfittando dell’ingresso principale, ci ritroviamo in un enorme centro commerciale a due piani, rimanendo leggermente di sasso nel trovare Burger King e Zara piuttosto che spogliatoi e sala stampa. Capiamo di aver sbagliato qualcosa e, circumnavigando la struttura, individuiamo l’ingresso per il tour. Prima di iniziare, però, abbiamo il tempo di fotografare alcuni murales creati dai tifosi, a dimostrazione che, nonostante il rispetto per una struttura nuova e all’avanguardia, il popolo biancoverde (così come quello benfiquista) ha avuto grandi libertà di personalizzazione, ovviamente nei limiti del buon gusto e senza mai sfociare nel vandalismo incontrollato.
Dall’esterno l’architettura dello stadio appare piuttosto irregolare, molto moderna e sicuramente adattata alle strutture che ci sono al suo interno: una palestra, lo store del club ed un cinema multisala. Scocca l’ora del tour e ci presentiamo puntualissimi: la nostra guida è Joao e saremo i suoi unici “seguaci”. Gli aspetta una brutta, bruttissima giornata.
UN TUFFO NELLA STORIA – Prima ancora di partire con il tour, restiamo ammaliati già dalla sala d’attesa: a dominare è il colore verde, così come il gran numero di immagini dell’animale simbolo di questo club, il leone.
La prima tappa è un quadro, rappresentante i soci fondatori del club nei primi anni del 1900. Tra tutti, spiccano tre personaggi: Josè Alvalade (fondatore del club e primo presidente), suo padre (businessman dell’epoca e maggiore finanziatore) e Francisco Stromp (primo ed unico ad aver rivestito i ruoli di capitano, allenatore e presidente dello Sporting). Quest’ultimo è ricordato con particolare affetto dal popolo biancoverde, essendo di fatto l’ideatore della maglia con questi due colori. Parleremo più avanti dell’evoluzione della casacca dello Sporting, ma Stromp ebbe un ruolo cruciale per la divisa ad oggi famosa in tutto il mondo.
Joao ci guida verso il modellino del vecchio stadio, rappresentazione della struttura che ospitava lo Sporting nel 1956. La struttura, come il vecchio da Luz, si estende in orizzontale piuttosto che in verticale e, sulla tribuna centrale, svetta una vistosa copertura. Joao ci racconta come in quei tempi nessuno volesse sedersi in quella sezione dello stadio, temendo un crollo a causa delle precarie condizioni di sicurezza. Beh, la paura di quei tifosi era davvero mal riposta: quando arrivò il momento di abbattere lo stadio, furono necessarie ben tre macchine demolitrici per buttare giù quella sezione, mentre ne bastò soltanto una per il resto della struttura. Sulla sinistra del modellino rimane evidenziato l’ingresso principale, la storica porta dello stadio: quella è l’unica sezione rimasta tutt’ora in piedi, da cui ha poi preso vita l’attuale costruzione.
Lo stadio Josè Alvalade può ad oggi contenere circa 50mila spettatori, ha 5 stelle di valutazione UEFA ed è stato costruito nel 2003, in vista del campionato Europeo ospitato dal Portogallo l’anno successivo. In questo stadio si giocò, tra le altre cose, la finale della vecchia Coppa Uefa del 2004/2005, in cui i padroni di casa vennero sconfitti dal CSKA Mosca. Su questa particolare partita ci riserviamo di mostrare un piccolo cimelio per i più “romantici” tra i nostri lettori, ma non è ancora il momento. Joao apre le porte per accedere alla sezione successiva e ci affrettiamo a seguirlo senza esitazioni.
IL CUORE PULSANTE – Veniamo guidati all’interno della sala stampa, incredibilmente vasta e strutturata non con panche o ingombranti poltrone, ma con una serie di comuni sedie: questo non per infierire sulla comodità dei giornalisti ospitati, ma per garantire la massima capienza alla sala e permettere a tutti di prendere posto e svolgere il proprio lavoro. Anche questa sala ha una parete scorrevole, in grado di aumentare la capienza fino ad un numero di 300 unità. Piacevole sorpresa, una piccola sala alla destra del palco, dove solitamente prendono posto i traduttori per gli allenatori o i giocatori stranieri.
Ci spostiamo dunque nell’area dedicata agli spogliatoi, dove per richiesta esplicita della presidenza non è possibile scattare foto. Rimaniamo particolarmente impressionati dall’intensità dei colori presenti sulle pareti, dalle scene raffigurate (tifosi che esultano, giocatori in pose grintose, immagini di gol realizzati) e dalle frasi presenti un po’ ovunque nei corridoi (“Benvenuti nella tana dei leoni”, “Arrivano i campioni”, “La nostra forza è irresistibile”). Joao ci spiega, infatti, che questi spogliatoi sono quelli riservati alle squadre ospiti e la realizzazione di queste immagini è creata appositamente per tentare di intimorire moralmente gli avversari, preparandoli a quello che succederà in campo. Allo stesso modo lo spogliatoio dei padroni di casa è tappezzato da frasi di incoraggiamento, a dimostrazione che l’approccio mentale alle partite è il primo reale passo verso una vittoria. Lo spogliatoio è abbastanza comune a qualsiasi altro: docce, panche, lettini per i massaggi e lavagna tattica, ma ci colpisce la sezione immediatamente successiva. Vi è infatti un piccolo campetto in erba sintetica con una porta, utilizzato dagli ospiti per svolgere il riscaldamento al coperto in caso di fitta pioggia all’esterno, pur sfruttando la stessa temperatura. Questo piccolo campo, a quanto ci dice Joao, viene comunemente affittato per festeggiare le feste di compleanno dei piccoli tifosi dello Sporting e la porta utilizzata per calcolare la potenza di tiro dei bambini. La competitività, infatti, è uno stimolo importante per i ragazzi di quell’età e competere nella struttura che ospita i loro idoli può essere una spinta incredibile per i piccoli biancoverdi. Passiamo dunque all’entrata del campo di gioco: imbracciamo nuovamente le macchine fotografiche facciamo il nostro ingresso trionfale.
VISIONE PRIVILEGIATA – Tappeto verde impeccabile, giardinieri all’opera, porte liberate dalle reti e innaffiatoi al massimo: è sostanzialmente la stessa visione che abbiamo avuto all’ingresso dell’Estadio da Luz, a dimostrazione dell’enorme cura del terreno di gioco da parte delle società portoghesi che, oltre alla struttura, garantiscono un livello eccelso anche per il campo vero e proprio. Gli spalti sono divisi in quattro gradinate suddivise a loro volta in due sezioni, superiore ed inferiore. I seggiolini sono colorati e spicca una serpentina di colore verde a richiamare i colori del club. Joao ci racconta che, in principio, la capienza dello stadio sarebbe dovuta essere più vasta ma l’architetto sembra aver fatto male i calcoli, trascurando l’obbligo conferito dalla UEFA di dotare la struttura di un tabellone luminoso. Questo è stato inserito successivamente rispetto al progetto originario, trovando posto nell’angolo sinistro del campo dalla nostra prospettiva all’ingresso. In quella sezione sono molti i posti dunque inutilizzabili, anche se non sono stati del tutto smantellati: in ogni caso la vendita è bloccata, a meno che qualche avventuriero non abbia voglia di assistere al match nascosto dall’enorme tabellone. Attraversiamo il terreno di gioco passando davanti alla panchina delle due squadre, oltre ad altre due mini-panche dedicate al quarto uomo ed ai due staff medici, i quali possono usufruire di un apposito spazio a bordo campo.
Risaliamo una delle scalinate principali e ci ritroviamo nuovamente all’interno, per poter accedere alla famosa “zona VIP”: si tratta infatti dell’area in cui il Presidente ospita amici ed autorità, scambiando chiacchiere e mangiando un boccone prima di assistere alla partita. Vi è un bar/ristorante ed una vasta anticamera che affaccia sulla tribuna VIP vera e propria, la quale però presenta una divisione: i dirigenti della squadra avversaria, infatti, hanno una loro zona apposita, distante da quella del Presidente dello Sporting ed i suoi ospiti. Joao ci guida sulla tribuna, da dove godiamo di una vista spettacolare. Chiediamo quale sia il posto del Presidente e Joao sorride beffardo: il posto sarebbe, in teoria, il numero 18 (ed è così da sempre) ma il Presidente raramente assiste al match da lassù. Molto più facile trovarlo seduto in panchina con i suoi ragazzi, ad incarnare il perfetto spirito del Presidente condottiero vicino ai suoi uomini nella buona e nella cattiva sorte. Ci sediamo fugacemente sul posto del Presidente (che tanto neanche utilizza) per poi seguire Joao verso il museo del club.
NON SOLO CALCIO – L’anticamera del museo è rappresentata da una fedelissima riproduzione della storica “sala presidenziale”, in cui avvenivano le riunioni dei dirigenti ed in cui i giocatori firmavano i contratti sin dalla fondazione del club. I mobili ed il tavolo sono esattamente gli stessi, prelevati dal vecchio stadio e riposizionati all’ingresso della sala che rappresenta la storia e la memoria di questa squadra.
Ai lati del tavolo troviamo una foto d’epoca rappresentante la prima partita giocata dalla nazionale portoghese sul campo del club (persa contro la Spagna) ed un’immagine raffigurante i “cinque violini” dello Sporting degli anni ’40: Jesus Correia, Vasques, Peyroteo, Travassos e Albano. Joao sposta la nostra attenzione in particolar modo su Peyroteo: questo attaccante ha messo a segno in carriera 544 gol in 334 partite ufficiali, risultando ad oggi tra i realizzatori più prolifici della storia del calcio. Personalmente questo nome non ci diceva nulla, ma a quanto pare non si finisce mai di imparare.
Passiamo dunque al museo vero e proprio: una serie di enormi scaffali in cui sono contenuti una vasta gamma di fotografie, reperti e trofei di tutti gli atleti del mondo Sporting. Già, perchè il Presidente Alvalade non voleva che il suo club si fermasse al calcio, ma che coinvolgesse i giovani di Lisbona in tutti gli sport possibili creando una società forte e capace di realizzare i sogni e le passioni di chiunque. Futsal, scherma, nuoto, boxe, volley, atletica, ciclismo… sono soltanto alcuni degli innumerevoli sport in cui gli atleti dello Sporting si sono distinti nella storia, ed a dimostrarlo ci sono più di 300 riconoscimenti gelosamente custoditi in questo meraviglioso museo. Tornando al calcio, tra i tanti cimeli che osserviamo ci colpiscono in particolare tre bacheche che, grazie alle spiegazioni di Joao, ci rimarranno impresse. Nella prima ci sono diverse magliette che, a quanto pare, narrano l’evoluzione del completo di gioco del club. La prima divisa è completamente bianca, la seconda composta da due bande verticali bianco-verdi, la famosa divisa ideata da Francisco Stromp, fino ad arrivare a quella odierna, con strisce orizzontali. Tutto chiaro dal bianco alla maglia Stromp, ma le strisce orizzontali? Joao ci racconta che dietro questa evoluzione c’è una leggenda: si narra infatti che in previsione di una trasferta in un Paese straniero piuttosto freddo e piovoso, il club di calcio abbia preso in prestito le più resistenti divise dei “colleghi” di rugby, caratterizzate dal tipico cordoncino a legare il collo a V e ornate con strisce orizzontali. Sembra che, a seguito della straripante vittoria esterna, i calciatori non avessero voluto più rinunciare a quelle divise, scrivendo dunque un pezzetto di storia nell’evoluzione del completo di gioco.
La seconda bacheca che ci balza all’occhio contiene una maglia autografata di Cristiano Ronaldo. Si tratta della maglia indossata da CR7 in quella famosissima partita contro il Manchester United, al termine della quale Gary Neville avrebbe detto a Sir Alex Ferguson: “Boss, il ragazzino è troppo forte…dobbiamo prenderlo”. Quel giorno la vita di Ronaldo e la storia del calcio ebbero una discreta sterzata e quella maglietta è di certo il ricordo più immediato di una partita a suo modo importantissima per il football moderno.
Terza ed ultima bacheca, quella a protezione dei cimeli della già citata finale di Coppa Uefa tra Sporting e CSKA. Ci soffermiamo a guardare le due formazioni che scesero in campo, notando che (specialmente tra i russi) in tanti ancora oggi sono in attività (tra cui un giovanissimo Milos Krasic). Joao afferma che tra le file di quello Sporting ad oggi gioca ancora soltanto Joao Moutinho, ma noi gli facciamo notare che tra le riserve dei biancoverdi spicca un nome che noi italiani conosciamo molto bene…quello di Mauricio Pinilla!
AQUILE E LEONI – Che dire, anche l’Estadio Alvalade ci ha profondamente colpiti per organizzazione, modernità ed efficacia nel risvegliare passione e fornire servizi. Provando a confrontarlo con l’Estadio da Luz, di certo troviamo tantissime affinità, dovute principalmente alle idee di fondo ed al periodo storico della sua costruzione. Entrambi nascono alla vigilia di un grande evento sportivo, con il bisogno di modernizzare strutture storiche ma cercando di preservarne il “romanticismo”. E’ proprio questa la qualità principale delle due costruzioni, che hanno come scopo principale quello di rendere una passione forse ancora troppo sottostimata in Portogallo fruibile a tutti, provando a raccontare la propria storia in una versione accessibile anche alle nuovissime generazioni. Se intorno allo stadio del Benfica è stata costruita una vera e propria cittadella, la casa dello Sporting sembra estendersi inglobando le strutture esterne come la palestra, il cinema ed il centro commerciale, modificando la sua struttura in chiave forse più moderna ma meno regolare rispetto a quella dei rivali. In entrambi gli stadi è evidente il pesante investimento degli sponsor del Paese, che hanno collaborato ampiamente e a cui viene più e più volte riconosciuto lo sforzo economico: praticamente ovunque è possibile leggere Nos, Meo, Sagres e Super Bock o vedere gli stemmi di tutte le compagnie che hanno collaborato alla costruzione delle due strutture. Entrambi gli stadi danno lavoro a moltissime persone diversificando le attività ed investendo sul turismo non solo per gli appassionati di calcio ma anche per le famiglie curiose di conoscere un pezzo di storia sportiva del Paese. La disponibilità del personale è encomiabile e la versatilità delle sale stampa mostra la grande apertura verso la classe dei giornalisti che, almeno in Italia, spesso e volentieri è vista come ostile. Il calcio in Portogallo sta crescendo, così come stanno crescendo le tifoserie ed il numero di appassionati a questo sport: i motivi sono tanti, ma forse la creazione di stadi così belli e alla portata di tutti sta avendo un ruolo importante in tutto ciò. La gioia e la passione risvegliate per 90′ minuti da una partita di calcio, stanno pian piano diventando quotidianità grazie alla “casa” della squadra del cuore che si trasforma da sogno a punto di ritrovo per tutti i giorni. Se vi siete persi la nostra visita allo stadio “rivale”, l’Estadio da Luz del Benfica, potete rimediare cliccando qui.