L’inevitabile addio di Kallon tra gol, sorrisi e ricordi indelebili

L’inevitabile addio di Kallon tra gol, sorrisi e ricordi indelebili

Mohamed Kallon ai tempi dell'Inter. fonte switsalone.com
Mohamed Kallon ai tempi dell’Inter. fonte switsalone.com

Capisci di quanto il tempo sia irrimediabilmente trascorso davanti ai tuoi occhi, quando un altro pezzo d’infanzia pallonara decide di dire basta con il mondo che più ha amato e che l’ha reso celebre. Mohamed Kallon è stato per la generazione dei trentenni fonte d’ispirazione, modello da emulare, giocatore da amare incondizionatamente perché figlio di un tipo di calcio che oggi non esiste e non tornerà mai più, simbolo degli anni d’oro del campionato italiano.

In quello stesso campionato, pieno zeppo di stelle di livello internazionale pian piano scomparse dai campi della serie A, tra la fine degli anni ’90 e l’inizio del nuovo millennio, un ragazzino venuto dalla lontana Sierra Leone fu protagonista vestendo in rigoroso ordine cronologico le maglie di Bologna, Genoa, Cagliari, Reggina, Vicenza e Inter, prima di lasciare il nostro paese per inseguire il pallone esplorando mondi e culture diverse tra loro, fino al ritorno in patria e l’annuncio che ha trafitto il cuore dei tantissimi nostalgici. Figure e giocatori come Kallon sembrano destinate a non tramontare mai nella mente e nei ricordi di quanti l’hanno visto all’opera, ma è appunto la dura realtà a ricordarci che a quasi trentasette anni (forse qualcuno in più) è arrivato il momento di dire basta e “lasciare spazio ai più giovani”, esattamente come dichiarato nel suo messaggio di congedo dal calcio giocato. Lo spazio e la continuità necessaria per crescere e diventare ciò che è stato in tutta la sua carriera, Kallon se l’era guadagnato girando in prestito la provincia italiana (da sempre, una grande scuola di vita), per poi disputare tre ottime stagioni sotto la Madonnina, sponda nerazzurra. Sempre sorridente e positivo, ingenuo ma allo stesso tempo già maturo a dispetto della giovanissima età, è stato tra i primissimi a rompere il tabù della classica numerazione calcistica in voga fino a quel momento, scegliendo il numero 2 ai tempi di Reggio Calabria, nonostante giocasse da attaccante. Impossibile non notarlo e non soltanto per via dei gol messi a segno, 39 in 126 gare complessive in A, ma soprattutto per quel suo essere personaggio e professionista esemplare, uno per il quale giocare a calcio ha sempre significato gioia, dono che gli ha permesso di sfuggire a un’infanzia terribile, fatta di guerra, fame e povertà.

Ha scelto di viaggiare e non fermarsi, mosso da una curiosità e da quella voglia di mettere a disposizione di realtà meno conosciute l’esperienza maturata in Europa e soprattutto in Italia, senza mai perdere d’occhio la realtà della sua Sierra Leone dove è tornato con l’obiettivo di gettare le basi per lo sviluppo del movimento calcistico in un paese devastato in passato dalla guerra civile e caratterizzato dal traffico illegale di “diamanti insanguinati”, estratti in zone a rischio per finanziare la guerriglia. Ambasciatore nel mondo, portatore sano di un Dna calcistico che da anni non sente più suo, caratterizzato com’è da un enorme giro di soldi che ingannano i giovani talenti di oggi, minandone l’ambizione di sfondare a certi livelli. Il calcio è cambiato e così i suoi interpreti, ed è proprio in momenti come questo che comprendi quanta differenza ci sia tra le diverse generazioni succedutesi nel corso degli ultimi anni. Probabilmente è giusto che sia così, esiste un tempo per tutti e quello di Kallon era finito già da un pezzo, ma certe immagini resteranno per sempre scolpite negli innumerevoli ricordi di eterno ragazzo che ognuno di noi porta con sé.