Serie A? Schiava della Tv, spolpata dagli stipendi

Introiti solo dalle Tv, pochi sponsor e tantissime uscite erariali: il declino della Serie A evidenziato dai numeri dell’agenzia britannica Deloitte.
“Che schiava di Roma Iddio la creò!”, l’Italia sia chiaro. E la Serie A? la declinazione calcistica degli italiani? A chi deve sottostare? E perchè? Mistero (nemmeno tanto tale) racchiuso tra i faldoni che compongono i libri contabili delle società della massima serie calcistica nostrana e non. A metterci il carico da 90 sono i tecnici, quelli chiari e spietati, dell’agenzia di consulenza finanziaria Deloitte – Annual Review of Football Finance 2016 – che in breve spiega: “Due terzi degli introiti della Serie A derivano dal mercato televisivo”.
TV SPONSOR DELLA SERIE A Che ci si creda o no, è così. Le Tv sono le massima azioniste del calcio italiano: garantendo una copertura di quasi 1.099 mln di € su un totale di 1.792 (circa 61%). Tendenza questa che si è estremizzata sempre più negli anni, a fronte anche di un decremento importante di tifosi pronti la domenica mattina, striscione e sciarpa in spalle, a recarsi allo stadio.

La Serie A è il quarto campionato d’Europa, in linea quindi con il ranking che ci vede dietro agli altri big, soprattutto presenta anomalie di livello assoluto che fanno scalpore: a partire dalla liquidità proveniente dalle tv (secondo solo alla Premier League), passando per gli introiti commerciali, finendo poi alla vendita dei biglietti della domenica. Un buco nero di speranze che si chiama “stagnazione” e in cui il denaro proveniente dalle grandi emittenti dell’ex tubo catodico finisce per sortire l’effetto, cortisonico, di chi ormai non sa più cosa inventarsi per andare avanti alla “bene e meglio”. Tutto visto e rivisto, non c’è che dire, eppure quando lo si legge tra i numeri – nemmeno si parlasse di ascia e coltello – sembra far ancora più male. Se da un lato non ci meravigliano del dato sugli sponsor (pensate a quante squadre lottano per avere un logo pagante sulla propria casacca), dall’altra non si può fare a meno di notare come il lato marketing della nostra penisola lasci decisamente a desiderare. Evenienza questa che si sposa poi con il numero sugli tagliandi venduti: combinato disposto di scarsa efficienza, crisi economica e infrastrutture fatiscenti. Benvenuti in Italia, anzi in Serie A.
STIPENDI DEVASTANTI A fare scalpore sono poi gli esborsi, cioè come viene indirizzata la liquidità della Serie A, la stragrande maggioranza della quale finisce negli stipendi dei calciatori. Circa 1.291 mln di € vengono spesi dai club per sopperire agli ingaggi dei propri tesserati, per un rapporto uscite/entrate del 72% unicum e valore massimo di tutto il continente. Con l’aggravante di una tassazione che prevede un corrispettivo allo stato del 92% dell’imponibile, conti alla mano un salasso che si traduce, spesso e volentieri, in mancanza di liquidità da investire altrove (infrastrutture, vivai ecc ecc).

SERIE A CRESCE POCO A spaventare è la possibile crescita della Serie A: indietro rispetto agli altri campionati d’Europa anche per i risultati altalenanti nelle competizioni europee, spesso snobbate dai nostri club a scapito del campionato. Tendenza questa ormai datata: se si pensa alle corse folli di molte big, o pseudo tali, fino all’ultimo secondo dell’ultimo minuto dell’ultima giornata di campionato per strappare il tanto ambito 3° posto che vale i preliminari di Champions League; una volta vinto lo scontro d’agosto (se succede), intascati i denari provenienti dalle Tv (amore infinito) si rinizia da capo, tralasciando l’impegno in mezzo alla settimana ma con il malloppo stretto tra le braccia, della serie: “Vi abbiamo portato l’acqua con le orecchie, padrone ingrato, almeno mandaci il cestino a Natale” diceva Corrado Guzzanti.

La morale non esiste. Come potrebbe in una realtà governata dal dio denaro? La Serie A è un cono d’ombra che, come già spiegato qualche riga indietro, poco e male riesce a sposare il concetto di modernità che vorrebbe un miglioramento sostanziale dell’offerta al pubblico sia per quanto concerne l’impiantistica (stadi di proprietà si contano su una mano) che sotto il profilo del marketing. Per cambiare verso bisognerebbe modificare proprio il concetto nostrano di calcio, e perchè no, di società. Al bando le soluzioni prestampate, quelle che tutti hanno e che non funzionano praticamente mai, semmai bisognerebbe pensare ad un piano a lungo termine di stampo decennale, cioè irrealizzabile per chi solo sa cogliere l’irresistibile libidine dell’oggi senza sapersi ravvedere del domani, magari facendo tesoro del passato. Questa è roba per statisti, figure così dalle nostre parti non se ne vedono più.
Stefano Mastini Follow @StefanoMastini1