Pelé, la ginga e il 17enne che fece grande il Brasile
“Pelé: Birth of a Legend” – Siamo nel 1950 e, tra le case malandate e i ruderi di Bauru, quattro ragazzini rincorrono un pallone improvvisato, fatto di stracci e calzini, e con esso il sogno: quello di diventare campioni. Dico è il protagonista della pellicola, era questo il soprannome del piccolo Edson Arantes Do Nascimento, meglio noto come Pelé, che lucidava scarpe e, scalzo, giocava a calcio tra pietre, muri e tetti delle case. Niente televisori a Bauru, solo una radiolina condivisa dall’intera comunità per ascoltare in diretta le gare del Brasile impegnato nel Mondiale di Rio. La sconfitta casalinga contro l’Uruguay al Maracanã fa crollare l’intero Paese nella disperazione e nella tristezza collettiva: il calcio muore e con esso l’identità dei brasiliani, messa in discussione sin dalle radici, dalla ginga, espressione di un futbol poco ortodosso ma spettacolare, che affonda le radici nei passi base della capoeira, con colpi d’attacco, difesa ed elementi puramente acrobatici. La ginga come responsabile di una disfatta, l’identità stessa del Brasile messa al bando. La tristezza e le lacrime sul volto di Dondinho, padre del giovane Pelé, spingono il ragazzino a fare una promessa solenne: “Vincerò la Coppa del Mondo per il Brasile”. Così accadrà, qualche anno dopo, in Svezia: Pelé vincerà il Mondiale e sarà decisivo nella spedizione brasiliana in casa dei temibili svedesi. Prima, però, la morte di un amico, il calcio messo da parte, gli allenamenti in gran segreto con il padre tra i frutti del mango e i palleggi, poi un provino, i dubbi, il Santos, le squadre giovanili e l’esordio in massima serie, il titolo di capocannoniere e una radio regalata a papà Dondinho, dalla quale ascoltare la prima convocazione in verdeoro. Uno spirito indomabile quello di Pelé, che da ragazzino poco avvezzo agli studi e con il calcio nel cuore, conquisterà il Santos, la Nazionale e, a 17 anni, sarà fondamentale per la vittoria del primo Mondiale del Brasile nel 1958.
“Pelé: Birth of a Legend” dei fratelli Zimbalist. Omaggio all’ex calciatore brasiliano
A portare la selezione dell’allora tecnico Vicente Feola alla vittoria del Mondiale non solamente la tecnica e la sfrontatezza del giovane Dico, il ruolo e il compito di Pelé furono ben altri. Non solo l’ardore e lo sconfinato talento del 17enne fenomeno tutto tecnica e forza della natura, ma l’importanza, ancora maggiore, di essere riuscito a risvegliare una squadra smarrita, una nazione e una nazionale senza identità, recuperando l’antica tradizione, l’ormai persa gioia, la ginga, quella che poi diventerà decisiva nell’evoluzione del gioco con interpreti come Pelé, Garrincha, Vava ed altri ancora. È la figura di O Rei a risaltare, oltre i gol e le giocate. E’ la sua essenza a risultare fondamentale, ma soprattutto interessante da conoscere e scoprire. E’ sulla figura di Pelé che bisogna soffermarsi, ma non sul Pelé calciatore, piuttosto sul Pelé-Dico, sul suo fiero e intatto legame con le proprie origini, a piedi scalzi sognante, con la ginga nel cuore e nelle gambe ed un’identità mai smarrita, che inculcherà, seppur lui ben più giovane dei suoi compagni, ad una squadra intera, facendo ricredere lo stesso selezionatore. Pelé quel Mondiale l’ha vinto più fuori dal campo che dentro, o meglio: prima negli spogliatoi e nell’animo dei suoi compagni, poi sul rettangolo di gioco, con numeri e gol da fenomeno vero.

Personaggi e momenti chiave
Nel corso del film è importante fare attenzione a certi ruoli e immagini che torneranno, a distanza di qualche anno, quasi come intatti, come se il tempo non avesse modificato certe dinamiche: come, ad esempio, il dualismo tra José Altafini detto “Mazzola” e il piccolo Dico, soprannominato “Pelé” proprio dal giovane ragazzo dalle origini italiane. Un iniziale e poco piacevole incontro, poi la prima vera sfida tra i due in un campetto di Bauru e poi ancora in Nazionale, insieme, nemici-amici. Poi c’è Dondinho, il padre di Pelé, di poche parole nelle prime scene del film e poi figura fondamentale nel prosieguo della storia: è grazie a lui che il piccolo Dico cresce in tutti i sensi, come è importante nel corso della pellicola la sua narrazione riguardo una carriera da calciatore per lui iniziata bene e arrestatasi bruscamente. Di grande importanza anche la figura di Maria Celeste Arantes, la madre di Pelé. Di spicco anche il ruolo di Waldemar de Brito, il primo a credere nelle potenzialità di Pelé e a donargli la possibilità di prendere parte ad un provino per il Santos: è proprio l’ex nazionale brasiliano degli anni 30/40 a narrare la storia della ginga e di un’identità ormai persa dal popolo brasiliano, scuotendo l’animo del giovane Dico, in lotta con se stesso e tediato da innumerevoli dubbi.
Curiosità
Il film, girato interamente in Brasile, è diretto dai fratelli Jeff e Michael Zimbalist e prodotto da Brian Grazer, da sempre producer di Ron Howard, figura influente di Hollywood e già produttore di Rush, Apollo 13 e A Beautiful Mind. L’americano Vincent D’Onofrio, già in Full Metal Jacket e nella serie Law&Order: Criminal Intent interpreta l’allenatore del Brasile Vicente Feola, mentre è l’attore e cantante messicano Diego Boneta a vestire i panni del giovane Altafini. Due gli attori scelti per interpretare Pelé: il giovane Dico è in realtà Leonardo Lima Carvalho, mentre Kevin de Paula è il Pelé cresciuto e protagonista di buona parte del film. Kevin è stato scelto quasi per caso, notato dai registi sullo sfondo di un video di alcuni ragazzi che giocavano in spiaggia, visionato alla ricerca di un giovane che assomigliasse alla Perla Nera, che parlasse l’inglese e che avesse anche una buona tecnica con il pallone tra i piedi. De Paula fu trovato e avvicinato dai registi proprio il giorno dopo su quella stessa spiaggia, poi gli fu proposto un provino che superò. Lo stesso Pelé non è riuscito a resistere alla tentazione di non prendere parte a quello che è il film che narra parte della sua vita, dalle strade polverose di Bauru alla vittoria del Mondiale del ’58: O Rei appare per pochi istanti nella scena del faro, quasi a voler approvare il lavoro di “Pelé: Birth of a Legend”, seduto nella hall dell’albergo che ospitava il ritiro della Nazionale Brasiliana in Svezia.
Conclusioni
Non è certo una di quelle pellicole da considerare come pietra miliare della cinematografia, ma è un film che può piacere, soprattutto a chi di calcio è appassionato. Può essere interessante da vedere per capire le reali dinamiche esistenti in casa di quel Brasile e la situazione interna alla selezione: una squadra (e con essa un intero Paese) che, a causa della delusione del Mondiale del ’50 contro l’Uruguay, si era ripromessa di diventare più “europea” e di bandire la ginga, lo stile rozzo e “da foresta”, considerato il motivo principale delle ultime disfatte. Più che la figura del Pelé calciatore, come già detto, è il primo Pelé a stupire, quello così ancora vicino al piccolo Dico, legato al pallone di stracci e alle corse a piedi nudi tra i vicoli di Bauru, che cambierà e risolleverà il Brasile intero. Quello dei fratelli Zimbalist è un film semplice, non spettacolare, ma che, se guardato con il giusto occhio, può risultare davvero interessante: capire a fondo come un 17enne Pelé sia riuscito a regalare, prima ad un Paese intero e poi ad una Nazionale come quella brasiliana, la svolta che attendeva da anni e che l’ha portata a diventare ciò che è oggi.
