Euro 2016, Gera shock: “Bevevo e mi drogavo, salvo grazie all’incontro con Dio”

Un presente da protagonista figlio di un passato difficile vissuto ai limiti della legalità. Zoltan Gera, trequartista dell’Ungheria grande sorpresa a Euro 2016 e secondo giocatore più anziano a segnare nella fase finale di un Europeo, si racconta in un’intervista a la “Gazzetta dello Sport”. Ricordi indelebili, amari, che oggi lasciano il posto a riflessioni profonde sul vero significato della vita umana, soprattutto quella baciata dal talento, troppo spesso sprecato a causa di una condotta non sempre all’altezza da giovani travolti troppo in fretta dal successo e incapaci di gestire il veloce scorrere degli eventi.
“Da piccolo bevevo, fumavo, mi drogavo – dice Gera– Ero sempre al casinò: non ci sarei potuto entrare fino ai 18 però, passando da una piccola porta, entravo. Volevo diventare un criminale, un padrino, uno temuto da tutti, che deruba e fa sempre risse. Ho iniziato a saltare gli allenamenti. Abbiamo formato una gang che rompeva le finestre per il gusto di farlo. Per 4-5 anni ho lasciato il calcio e i dottori mi dicevano che non sarei mai arrivato ad alto livello. Troppo alcol, troppe sostanze illegali. Ero troppo magro, per tutte le cose che avevo fatto. Spesso interrompevo l’allenamento perché avevo dolore alle articolazioni. Mi fermavo ogni 20 minuti e mettevo acqua fredda sulle gambe, perché mi facevano male le ossa e tutto il resto. Sono fortunato a non essere in prigione o, peggio, morto. Mi sono quasi suicidato, letteralmente”.
Confessioni dolorose di un’infanzia complicata, una vita quasi buttata per inseguire sogni effimeri, tornata a sorridergli quando tutto sembrava destinato a precipitare grazie a un incontro molto speciale. “Mio padre mi ha portato in chiesa. Ero scioccato dal vedere le persone che sorridevano e cantavano. Sulla strada per casa ho chiesto a papà perché erano contenti. Mi ha detto che avvertivano la presenza di Dio e io mi sono sentito bene. Un giorno, tornando da una partita, ho cominciato a pregare, che potessi diventare un calciatore vero”. Retorica o meno, la storia di gente come Gera, giocatore di buon livello tornato in patria con la maglia del Ferencváros dopo i trascorsi in Premier League, racconta i tormenti vissuti da gente ignara del dono prezioso ricevuto in dote, incapace talvolta di voltare pagina ripartendo dagli errori commessi alla ricerca di un futuro migliore.