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Mourinho contro Guardiola, capitolo XVII

di Andrea Martelli

Chi non si interessa di calcio non può capire quanto quella in atto a Manchester sia quanto più vicino si possa trovare ad una guerra di religione, sportivamente parlando. Due scuole di pensiero, due maniere di intendere il calcio e la vita diametralmente opposte. I due sono come il giorno e la notte, continuano a susseguirsi nel naturale ordine del gioco del calcio, attraendosi e scontrandosi. I due, pur viaggiando su frequenze totalmente opposte, sembrano essere calamitati l’uno dall’altro in maniera ineluttabile, fino al punto di rottura. I due sono Pep Guardiola e Josè Mourinho, quarantaquattro trofei in due. Quello di sabato sarà il diciassettesimo incontro-scontro.

Breaking point

Josè conosce bene il punto di rottura di Pep. Lo stress. Se permetti a Guardiola di lavorare sul campo, concentrato solamente su quello, non puoi batterlo. Il catalano è un genio assoluto del calcio. E’ in grado di rimanere tre passi avanti, e quando te ne accorgi è troppo tardi. Mou questo lo sa bene e sa che la miglior maniera di mandare fuori giri Pep è quella di metterlo sotto stress. Di portarlo a fronteggiare la stampa: “Mourinho ha già vinto la battaglia fuori dal campo. L’ha vinta per tutta la stagione. Se vuole avere la sua Champions League, gli permetterò di avere la sua Champions fuori dal campo. Spero che la porti a casa e se la goda come gli altri trofei. In questa stanza lui è el puto jefe. Non posso competere con lui”. Mourinho nelle sale stampa è il fottuto capo e Guardiola lo sa.

L’ossessione, la ciclicità dell’importanza dell’uno nella vita dell’altro è notevole. Nelle conferenze stampa pre-gara non sono mancate le occasioni per lanciare colpi di mortaio sull’altra sponda. Low profile. “L’ultima volta che ci siamo incontrati in Madrid Barcellona non è stato facile. Ci siamo parlati tre settimane fa, va tutto bene. Mi piace vincere, ma non odio perdere. Domani non è una finale”, spiega Pep. “Per me domani sarà solo un’altra partita. Stiamo bene, siamo pronti, stiamo aspettando”, l’arringa di Mou. Che non si fa mancare una stoccata al giornalista di turno. “Le partite le decidono gli allenatori o i giocatori? Sei uno dei migliori giornalisti che abbia incontrato in questo paese, non hai bisogno della mia risposta“.

Per i fuochi d’artificio ci sarà tempo nel corso della stagione, quando il clima sarà infuocato ed i due saranno in equilibrio su di un filo sospeso nel vuoto. È quello il momento in cui Mourinho cerca di scuoterti per farti cadere giù. Troppo presto per provare a portare Pep al punto di rottura.

Civil War

Quella fra i due sarà una vera e propria Civil War. Al di là dei paragoni cromatici con Capitan America ed Iron Man del blockbuster Marvel, il parallelo si plasma da un punto di vista morale. Chris Evans, attore che ha interpretato Cap nel film, ha raccontato il profilo psicologico del suo personaggio. “Cap viene da un mondo con un ordine, un’organizzazione, una gerarchia, una struttura. E penso che dopo la caduta della S.H.I.E.L.D., Cap abbia capito che non bisogna necessariamente fidarsi delle persone intorno a te. O fidarsi del sistema”. La struttura piramidale e gerarchica del tiqui taca non esiste più, ma i principi di gioco del genio di Santpedor sono ancora vivi. Guardiola costruisce il calcio dentro di sé e gli permette di divenire realtà.

Sull’altra sponda del magnum castrum romano, quella a tinte rosse, troviamo il ricchissimo ingegnere Josè Mourinho. Disponibilità economica praticamente illimitata che gli ha permesso di costruirsi un’armatura cibernetica con Zlatan e Pogba. Materiale di prima qualità. Come raccontato da Robert Downey Jr., interprete di Iron Man, i due protagonisti della lotta vivono su due piani esistenziali diversi. “Vengono da due generazioni completamente differenti sul piano della moralità. Cap è più onesto, ma penso che Tony sia un realista“. Vi ricordano qualcuno?

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Il derby che non c’è

di Giuseppe Barone

“Più è alto il piedistallo e più rovinosa sarà la caduta”. Due calciatori talentuosi, esperti, vincenti e perché no, anche strapagati che in una sola estate hanno visto il loro mondo praticamente sconvolto. Passare all’età di 32-33 anni dallo status di titolare inamovibile del centrocampo e di campione stimato in tutto il mondo a vero e proprio ‘peso’. Sarà stato lo stupore a farla da padrone sui volti di Bastian Schweinsteiger e Yaya Tourè quando hanno appreso, più o meno direttamente dai rispettivi tecnici, il clamoroso ridimensionamento al quale sono stati costretti.

Il tedesco ha ricevuto un trattamento indubbiamente più duro, diretto e probabilmente inaspettato. Qualche pensierino in più se lo era invece certamente già fatto il numero 42 del Manchester City. Yaya giunse in Premier League proprio grazie alla bocciatura del suo nuovo-vecchio tecnico Pep Guardiola. Destini praticamente identici per due veterani della mediana che hanno scritto pagine di calcio importanti negli ultimi anni e che sabato pomeriggio non potranno dar vita al loro personalissimo derby di Manchester.

Un capolinea di nome Mourinho

Bastian Schweinsteiger giunse in quel di Manchester solamente la scorsa estate e ad oggi percepisce ancora la bellezza di 14,3 milioni di sterline all’anno. Un contratto importante che fa chiaramente capire il ruolo pensato dalla dirigenza dei Red Devils per l’ex Bayern Monaco. A non essere d’accordo è Josè Mourinho. Lo Special One umilia immediatamente il numero 31: Schweini viene costretto ad allenarsi con la compagine under 23 dei Red Devils. Uno smacco che non ha lasciato indifferente il fratello del calciatore che su Twitter scrisse: “Zero rispetto“. Il declassamento di Schweinsteiger arriva di pari passo con una lista di epurati stilata da Mourinho e che pone il campione del mondo tedesco alla stregua dei giovani ex Academy o di uno Januzaj mai realmente costante.

Bastian sembra credere realmente in un reintegro ma nel giro di una manciata di giorni arriva una pesantissima stangata firmata Josè Mourinho. “Ho parlato con lui, ma non posso rispondere per lui. Ha un contratto con il Manchester United e il diritto di prendere questa decisione e restare. Ha fatto la sua ultima dichiarazione ed è completamente libero di farla in maniera obiettiva ed educata, ma credo che per lui sarà molto difficile giocare. Non sto dicendo che è impossibile, ma solo che è molto difficile.” Alle parole Mou fa seguire immediatamente i fatti e agli albori di settembre esclude proprio Schweini dalla lista Europa League. Una situazione impensabile solo un anno fa che ha sconvolto persino lo juventino Khedira. “Schweinsteiger è un giocatore con una grande carriera alle spalle. Non merita di avere qualcuno che gli dica di andare via“.

Yaya Tourè e l’incubo Pep

toure-panchinaNessuno pare abbia invece detto direttamente al colosso Tourè di lasciare il City. Le scelte di Pep Guardiola non lasciano tuttavia troppo spazio all’immaginazione. Ai tempi del Barcellona l’ivoriano non era adatto alla metodologia di gioco e di lavoro di un Pep alle prime armi. Il passare del tempo non pare aver modificato le preferenze dell’allenatore spagnolo. Mai convocato in campionato, una sola presenza nei preliminari di Champions a risultato acquisito e il mancato inserimento nella lista UEFA fanno chiaramente capire l’antifona al povero Yaya. Un crollo verticale apparentemente incomprensibile. Il centrocampista ivoriano è ancora integro fisicamente e nella sua permanenza all’Etihad Stadium ha messo insieme qualcosa come 72 reti.

I suoi limiti sono stati messi a nudo da Pep. “Ho rispetto per Yaya e un buon rapporto con lui. Quando migliorerà l’intensità senza palla, allora sarà parte del gruppo. Se vuole restare”. Parole di mezza estate che suonavano già come un campanello d’allarme per il numero 42 del Manchester City. Così come nel caso di Schweinsteiger anche l’epurazione di Tourè non è passata sottotraccia. Vedere per credere la reazione al Sunday Mirror di Dimitri Seluk, agente del calciatore: “Yaya è stato umiliato da Guardiola. Se il City vincerà la Champions, sarò il primo a dire che è il miglior allenatore al mondo. Se non lo farà dovrà ammettere di aver sbagliato”.

Così uguali, così diversi

Sabato alle 12.30, ora locale, il fischio d’inizio del derby di Manchester. Modalità di certo diverse ma sostanza identica. Non sarà il derby di Schweinsteiger e Tourè. Nessun duello rusticano, nessuno scontro tra titani. In campo scenderanno oltre 700 milioni di investimenti. Nonostante l’assenza di un pezzo da novanta come Sergio Aguero. La tribuna dell’Old Trafford non poteva essere da meno. I ‘poveri’ Tourè e Schweini ammireranno lo spettacolo dal loro trono dorato. 

Giornalista pubblicista, inviata d’assalto classe ‘89, una vita in radio e al tg, content editor per vocazione. Convertita al SEO non posso più farne a meno

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