Sinossi della Champions League 2016/2017
It’s showtime. Si accendono i riflettori della penultima edizione della Champions League per come la conosciamo. Fra due anni ai nastri di partenza ci saranno quattro spagnole, quattro tedesche, quattro inglesi e quattro italiane senza passare dai preliminari. Una svolta epocale che porterà ad una redistribuzione del potere economico nel calcio mondiale. Ad oggi l’Italia è ad un cul-de-sac dal quale è difficile uscire: ai club mancano le risorse per investire, i mancati investimenti riducono le possibilità di risultati sportivi che di fatto limitano gli stessi investimenti.
Fra due anni la situazione potrebbe risultare nettamente diversa, al netto della nikefobia di alcuni club nostrani. Succede di arrivare ad un passo dal traguardo e poi di lasciarsi sfuggire tutto di mano. Quello che è successo alla Roma, sconfitta ed umiliata in casa dal Porto. Quella che avrebbe potuto essere, ed invece non sarà, l’ultima edizione della Champions League con la presenza di Francesco Totti. La pazza notte romana, costata la fascia da capitano a Daniele De Rossi, è ancora sullo stomaco di molti romanisti. Figurarsi su quello dell’icona della romanità.
Alla ricerca dell’hype perduto
Francesco Totti non sarà l’unico grande assente nella prossima Champions League. Mancherà la coppia d’assi di Mino Raiola, Pogba&Zlatan. I due, accasati al Manchester United, si misureranno con l’Europa League. Alla guida del ManU Josè Mourinho. L’assenza dei Red Devils costerà molto in termini di hype al torneo. La coppia del momento sono loro, gli unici a poter competere con Cristiano Ronaldo dal punto di vista commerciale. Vederli giocare insieme ha portato le televisioni del globo terracqueo a sintonizzarsi sull’Inghilterra. Non poterseli godere sul palcoscenico più grande lascia l’amaro in bocca.
Non ci sarà neanche il Chelsea di Antonio Conte ed Eden Hazard, il sergente di ferro ed il fantasista accusato d’indolenza. Una strana coppia che pare funzionare alla perfezione. La scorsa Premier League, sconvolta e stravolta dal miracolo Leicester, porta strascichi anche in Europa. Poteva essere l’anno buono per scavalcare, od almeno colmare, i 2.821 punti di differenza fra Inghilterra ed Italia. Storia di una #BrExit che avrebbe potuto essere e non sarà. Un peccato per i tifosi inglesi, pronti a godersi una finale a pochi chilometri da casa.
Sotto gli occhi di Dad
Ad ospitare la finale della kermesse più famosa d’Europa sarà il Principality Stadium, tempio del rugby gallese. Fino all’inizio del 2016, prima che iniziasse il rapporto di sponsorship con la catena di costruzioni partner della Wales Rugby Union, l’impianto di Cardiff si chiamava Millennium Stadium. Per capire il peso della Principality basti pensare che nel bilancio del 2015 valeva 8 bilioni di sterline, con 24 milioni di utile. Ecco, nel 2012 il PIL del Galles era pari a poco più di 47 bilioni di sterline. Sono stati loro ad erigere il Millennium Stadium, sono stati loro a reclamarne la paternità a suon di milioni.
Inaugurato nel 1999, il gioiello di Cardiff ha ospitato manifestazioni di enorme rilievo. Il suo cuore batte per il rugby: il record di incassi appartiene alla rappresentativa di casa nel match decisivo del Sei Nazioni 2009. 74645 tagliandi staccati, 1291 in più del concerto degli U2 nello stesso anno. Il Principality Stadium è il terzo impianto più grande del Sei Nazioni dopo lo Stade de France e Twickenham ed è il secondo stadio più grande d’Europa con il tetto apribile. 56.000 tonnellate di cemento ed acciaio che generano 130 milioni di sterline l’anno alla città di Cardiff, garantendo 2500 posti di lavoro a tempo indeterminato. 2501 se calcoliamo la presenza di Dad, l’aquila domestica che tiene gli altri volatili lontani dall’impianto.
Sebbene sia una delle icone del rugby a livello mondiale, il Principality Stadium conosce molto bene il calcio. Ha ospitato sei edizioni della FA Cup, dal 2000 al 2006, durante la ristrutturazione di Wembley. Ha gioito per la doppietta della supernova Michael Owen e ha visto alzare il primo trofeo fuori dal Portogallo a Cristiano Ronaldo. Due delle sei finali si sono concluse col pathos dei calci di rigore e durante Londra 2012 ha ospitato 11 match di calcio. Niente male per un impianto costruito nel 1999.
Topografia degli allenatori
“Italia, popolo di poeti, di artisti, di eroi, di santi, di pensatori, di scienziati, di navigatori e trasmigratori”, recita una frase scolpita su un palazzo dell’Eur di infelice natura storica. Di allenatori, ci sarebbe da aggiungere. In questa edizione della Champions League l’Italia è il paese più rappresentato in panchina, al pari del Portogallo. Merito del migrante di lusso Carlo Ancelotti e di Claudio Ranieri, che ha lasciato il belpaese fra i turpiloqui delle sue ex squadre e che tornerà in Europa sulla carrozza del vincitore. Dopo Inter-Marsiglia del 13 marzo 2012, meneghini eliminati nonostante il gol della vittoria di Pazzini al 96′. Sul terzo gradino del podio sgomitano Spagna, Germania ed Argentina.
In terra iberica la tendenza è quella di non affidare la panchina ai conterranei: il solo Luis Enrique tiene alta la bandiera dei mister spagnoli sulla banqueta. Emery, autore dei miracoli di Siviglia, siede sulla panchina del PSG. Lo scienziato pazzo Pep Guardiola si è fatto convincere dal progetto – e dai milioni – del Manchester City. Se invece in Germania va di moda il patriottismo, è notevole l’influenza della scuola argentina. Nonostante la bandiera albiceleste non sia rappresentata nei club, la bravura dei tecnici sta incantando l’Europa. A differenza della nazionale, che non riesce a trovare una figura di riferimento in panchina e che preferisce affidarsi a personaggi pittoreschi piuttosto che ad esperti di tattica. Dopotutto vivono in una terra in cui tutto è spinto verso il limite massimo, in un’ottica che dai salotti europei appare distorta, ma che è estremamente chiara per chi la vive.
Ancora tu, ma non dovevamo vederci più?
Strano da dire ma le strade di Pep Guardiola e del Barcellona si incrociano. Per la seconda volta il perfezionatore del tiqui taca tornerà nel posto al mondo che più di tutti può chiamare casa. La Spagna per Pep sta diventando un incubo: nel suo triennio bavarese ha incontrato tre volte una squadra spagnola in semifinale. E per tre volte è stato eliminato. Prima dal Real Madrid di Ancelotti, poi dal suo Barcellona ed infine dall’Atletico del cholista Simeone. Adesso dovrà affrontare il girone di qualificazione con la trasferta in catalogna, dove fra qualche tapas e una passeggiata sulla Rambla con i vecchi amici respirerà aria di casa. Ancora una volta da avversario.
Stesso destino accomunerà molti calciatori in questa Champions League. Dani Alves tornerà al Sánchez-Pizjuán e Pjanic al Parc Olympique. L’emozione più grande sarà sicuramente quella di Marko Pjaça, che dopo aver qualificato la Dinamo Zagabria a suon di gol se la ritrova come avversaria due mesi dopo. Al Camp Nou, assieme a Guardiola, tornerà Claudio Bravo ma non Yaya Touré, escluso dalla lista per la Champions League. La polemica in casa Citizens tiene ancora banco, ma chiedere a Pep di cambiare idea su un calciatore è come chiedere al Trap di giocare col 4-3-3. Per referenze chiedere a casa Ibrahimovic.
We are in Champions League man, diliding dilidong come on!
Nel Gruppo G c’è chi ha iniziato a sognare ad occhi aperti e non vuol smettere. Stiamo parlando del Leicester di Claudio Ranieri, of course. Le Foxes hanno compiuto una spettacolare cavalcata nella vittoria della Premier League. Adesso sono in Europa per scrivere un altro capitolo del miracolo della periferia inglese. La streak di Ranieri continua ad essere terrific, unbelievable. La dea bendata ci vede benissimo, ed ha ancora un occhio di riguardo per i suoi uomini preferiti. Vardy e compagni hanno pescato un girone più che abbordabile con Porto, Copenaghen e Club Brugge. Adesso tocca andare a prendersi la qualificazione alla fase ad eliminazione diretta.
L’entusiasmo che trasmettono i ragazzi di Ranieri è contagioso. Il fascino dell’underdog ha contagiato tutti, fino ad arrivare in Italia. A maggio 400 ragazzi hanno organizzato la macchinata ignorante per andare a Leicester a festeggiare la vittoria della Premier League. Solamente gli dei del calcio possono sapere fin dove il folle sogno dell’Icaro moderno potrà osare. I ragazzi di Ranieri, con le loro ali di cera, cercheranno di volare il più vicino possibile alla Coppa. Se dovessero sciogliersi, sarà comunque un’epopea da raccontare ai nipotini. Qualcosa di totalmente impensabile nel calcio moderno, basato sulla massa grassa, sui fisici scolpiti e sui cyber-atleti. Nel 2016 c’è ancora spazio per chi si presenta al ritiro masticando tabacco e bevendo Red Bull.
Superstar wannabe
Come sempre il pubblico di tutta Europa avrà l’attenzione puntata sull’esplosione delle superstar del futuro. Gli appassionati che sognano un giovane fuoriclasse per la propria squadra dovrebbero tenere gli occhi puntati sul Girone E. Uno dei più equilibrati, uno dei più spettacolari. Prendendo le quattro squadre che si giocheranno le prime due piazze possiamo trovare un grandissimo talento in erba. Il più anziano ha 22 anni e 13 presenze in Champions League. Si chiama Bernardo Silva ed il suo talento è cristallino. Chi segue il calcio estero lo conosce molto bene: al Benfica faceva da riserva, ma le sue innegabili dote avevano scatenato la stampa lusitana contro Jorge Jesus. Arrivato alla cessione si è accasato al Monaco, dove sta proseguendo la sua crescita come uomo e calciatore.
Nel Tottenham è un titolare inamovibile Dele Alli. Una stagione strepitosa, in cui ha fatto meglio di Gerrard e Lampard nelle loro stagioni d’esordio. Può ricoprire tutti i ruoli del centrocampo, dal regista al trequartista: è lui la grande speranza del calcio inglese per tornare a vincere qualcosa nelle competizioni per nazionali. Fari puntati anche su Aleksandr Golovin. Il giovane trequartista del CSKA Mosca risponde all’identikit cercato dalla sua nazionale per non sfigurare ai Mondiali casalinghi del 2018. Tre reti in due presenze con la nazionale maggiore ed un passato nel futsal, è un ragazzo dal controllo di palla delizioso e tanta voglia di sfondare.
Chiudiamo questa rassegna con il giovane talento del Bayer Leverkusen: Julian Brandt. Centrocampista avanzato dalle spiccati doti offensive, ha messo a segno sei reti consecutive in Bundesliga. Alla sua età nessun calciatore tedesco ha toccato quei numeri dai tempi di Gerd Müller. Ha concluso la passata stagione con 9 reti, 4 assist e l’esordio in Champions League, arrivato nella netta sconfitta per 0-4 contro il PSG.
Allegri e Sarri, due facce della stessa medaglia
E le italiane? Le italiane ci sono, eccome. Con due squadre che rappresentano due correnti di pensiero diverse, due mondi diversi. Con due allenatori agli antipodi. Ma sono due facce della stessa medaglia. Allegri e Sarri sono due che vedendoli a fianco nessuno direbbe che fanno lo stesso lavoro. Un nostalgico di Mazzone vedendo Allegri lo scambierebbe per un direttore sportivo, un ragazzino che oggi vede Sarri potrebbe pensare di avere a fianco il magazziniere. Eppure entrambi sono a modo loro due virtuosi della panchina. Il Napoli farà valere il suo calcio tattico, fatto di movimenti e sincronie, in un girone non proibitivo. Quello di Sarri è un calcio che viene dalla testa, maturato nel corso di notti insonni, caffè e sigarette. Gli azzurri posso coltivare l’ambizione di qualificarsi come prima potenza: basta che la voglia di vincere superi la paura di perdere.
Nel Girone H inizierà invece il grande assalto della Juventus alla Champions League. Tutto partirà dal calcio di cuore di Allegri. L’allenatore livornese è uno che la notte dorme benissimo. Lavora sui concetti, sulle idee e non su rigidi schemi. Il suo è un calcio fondato sulla tecnica che ben si modella sulle caratteristiche di una squadra costruita per provare a realizzare un sogno. Nonostante la perdita di Pogba, incantato dai milioni di Manchester (e come biasimarlo) i bianconeri sono riusciti nell’impresa di rinforzare la rosa. Cosa non scontata quando perdi un top player di livello mondiale.