Il guizzo del Toro e l’imbarazzo della Roma

Dario Marotta
25/09/2016
Luciano Spalletti - Roma
Luciano Spalletti – Roma

        Il 3-1 dell’Olimpico certifica i difetti della Roma e rilancia le ambizioni del Toro

Dieci minuti. Tanto è durato lo spettacolo della Roma famelica, pronta a divorarsi il campo e gli avversari. Una bella ed effimera illusione, crollata sotto i colpi di un Torino battagliero, ben organizzato e trainato da Belotti, l’attaccante italiano più forte del momento. Colui che dal 2016 ha segnato meno soltanto di Higuaìn. Il volto del gallo si scontra con il viso corrucciato di Dzeko, con gli spunti isolati di Salah, con la morbidezza di Perotti, ombra di se stesso. Così come Spalletti, che oggi non ne ha azzeccata una. A cominciare dall’undici iniziale, senza né capo né coda, col giocatore più importante fuori ruolo. Poi i cambi, stile assalto alla bersagliera: senza senso, con palloni lanciati alla rinfusa per coltivare la speranza di una giocata del singolo, mai arrivata. Il Toro ha costruito il suo successo sulle debolezze dei capitolini, aggravate (come già accennato) dagli errori del tecnico.

Caso Nainggolan

La panchina col Crotone celava una promessa: tonerà a brillare all’Olimpico, dopo un periodo di evidente appannamento. Sul cammino del belga, lastricato di buone intenzioni, si è frapposta la discutibile scelta del “cattedratico” Spalletti che nel 4-2-3-1 di giornata lo ha proposto da trequartista, con Perotti e Salah ai suoi lati. Risultati imbarazzanti e non nuovi, visto che l’esperimento era stato già provato in passato con scarsa fortuna. E così anche a Torino, laddove è stato costretto a ricevere spesso palla spalle alla porta, senza avere la possibilità di incidere, non possedendo la qualità tecnica necessaria per fare il lavoro da dieci, unito a quello di cursore, evidentemente ostacolato da una collocazione tattica imbarazzante. Difatti Spalletti ha cambiato il canovaccio nella ripresa, tirando fuori De Rossi e riportando il belga sulla linea mediana. Non è migliorata la sua prestazione ma gli errori commessi nella ripresa avevano almeno un senso.

‘Basellotti’ e Falque

I meriti del Toro cominciano laddove finiscono i demeriti della Roma, senza nulla togliere a Mihajlovic che ha potuto impostare la sua partita perfetta. Difesa aggressiva e attacco costante delle praterie lasciate dalla Roma, sempre in inferiorità a centrocampo. Il ritorno di Belotti dal primo minuto si è fatto sentire eccome. Un gol e tanto lavoro sporco, con Manolas e Fazio in preda ad una crisi di panico.

E’ il più forte, non ce n’è per nessuno. Con lui Baselli, invitato dall’allenatore a tirar fuori il carattere (con parole meno edulcorate) e inserito in luogo di Obi, uscito per infortunio. A quel punto il Toro ha rischiato di scoprirsi troppo, di tradire la sua idea iniziale e invece ha tratto dal cambio energia positiva, coraggio, ambizioni di successo. Dopo aver lasciato l’iniziativa alla Roma, ha cominciato a macinare gioco, senza però snaturare la sua identità. Ha colpito e affondato la Roma con la doppietta di un ex ritrovato nel giorno più bello.

Conseguenze

Le criticità dell’ambiente giallorosso sono arcinote e, in casi del genere, spaventano. L’uscita anticipata dalla Champions è stata digerita a fatica ma la doppia sconfitta esterna con Fiorentina e Torino rischia di lasciare il segno. Sono dieci i punti raccolti dopo sei partite, quattro in meno della Juventus, tre rispetto al Napoli. Ma non è la classifica a preoccupare quanto una certa attitudine a mollare nei momenti più importanti, quando la squadra è chiamata a dimostrare la sua maturità. Un’impresa fallita da Garcia e che ora rischia di sfuggire allo stesso Spalletti, alle prese con i medesimi problemi. Presto per parlare di panchina a rischio ed è giusto così perché si tratterebbe di un clamoroso errore. Per il Toro, falcidiato dagli infortuni e criticato per una qualità del gioco piuttosto scadente, si tratta di un nuovo inizio. Un nuovo giorno, aperto dal canto del Gallo.