Napoli 97/98: “Questa squadra non la salva nemmeno San Gennaro”
QUATTRO ALLENATORI E UNA PROFEZIA DESTINATA AD AVVERARSI…
Da cima a fondo, dalla coppa accarezzata alla retrocessione umiliante. La miseria di quattordici punti, un mercato da mettere i brividi, quattro allenatori e il triste commiato. Stagione 97-98, il Napoli in B da aprile dopo la sconfitta di Parma, ripensando al campionato precedente, quando Simoni era secondo, alle spalle della Juventus. Natale brasiliano con Beto e Cruz, volti di una squadra divertente e divertita, incosciente. Povera ma bella, forte ma fragile, troppo, per resistere agli spifferi maligni. L’Inter dietro l’angolo, spettatrice interessata del lavoro portato avanti con sagacia e maestria dall’allenatore già scafato ma sottovalutato dalle grandi. Un affronto per Ferlaino che così (complice un girone di ritorno negativo) opta per l’esonero. E’ l’inizio della fine, il Napoli di Enzo Montefusco crolla in campionato e perde la finale di coppa Italia con il Vicenza. E’ più di una semplice sconfitta, è l’addio alla speranze di trovare nuove risorse economiche, garantite dalla partecipazione alla coppa delle coppe.
CALDERON E ALTRI DISASTRI

E’ un Napoli rivoluzionato quello che si presenta ai nastri di partenza del campionato 97-98. In panchina c’è Lino Mutti, reduce da una soffertissima salvezza con il Piacenza, conquistata proprio al San Paolo, dopo un memorabile spareggio con il Cagliari. Tanti gli addii, da Milanese a Cruz, da capitan Bordin a Colonnese, passando per Beto, Caccia, Boghossian e Aglietti. La campagna acquisti porta in dote i due terzini Sergio e Facci, i centrali Zamboni, Conte e Prunier, il “medianaccio” Rossitto, la giovane promessa Goretti, l’oggetto misterioso Pedros, il bomber della B Claudio Bellucci (20 gol con il Venezia) l’Igor Protti a caccia di riscatto dopo la parentesi laziale e, soprattutto, José Luis Calderon, centravanti argentino strappato all’Independiente per sei miliardi di lire. E’ il colpo da novanta, titolare dell’albiceleste nella coppa America disputata in estate. Lui dentro, con Batistuta e Balbo fuori, tanto basta per accendere sogni e speranze. Aspettative alte, ma lui non si sottrae: “Angelillo ha segnato trentatré gol? Mi accontenterei di farne trenta”. Sei partite, zero gol e pacco rispedito al mittente.
DA MUTTI A MAZZONE
Esordio in campionato all’Olimpico con la Lazio, Mutti sceglie un coraggioso 5-3-2: Taglialatela, Ayala, Baldini, Prunier (93′ Sbrizzo), Sergio, Crasson, Goretti (73′ Scarlato), Rossitto, Longo, Protti, Bellucci (89′ M.Esposito). A disposizione: Di Fusco, Facci, Altomare, Panarelli. Peggiore in campo il difensore transalpino Prunier, con un passato al Manchester United. Il giudizio delle cronache dell’epoca è unanime: “forte e statico come una quercia”. Dopo le prime cinque uscite, il Napoli raggranella quattro punti. Si decide per l’esonero, arriva Carlo Mazzone. Con il maestro c’è Giuseppe Giannini, richiamato in fretta e in furia dallo Sturm Graz per dare una mano ad una squadra in disarmo: “Non viene a fare la prima donna”, precisa l’allenatore romano, in carica per quaranta giorni. Quattro sconfitte consecutive e un sussulto in coppa Italia, contro la Lazio. Dopo il quattro zero all’andata, il Napoli vince al San paolo tre a zero, con il Principe tra i marcatori. Mazzone si dimette dopo la sconfitta di Lecce, lasciando ai posteri una profezia destinata ad avverarsi: “Questa squadra non la salva nemmeno San Gennaro”.
GALEONE DA BAGNOLI
Avanti un altro. Dieci giornate e tre allenatori. Ferlaino gioca la carta Ottavio Bianchi ma il tecnico del primo scudetto rifiuta la proposta Tocca a Giovanni Galeone, il profeta di Bagnoli. Il risultato da costruire attraverso il gioco, un mantra seguito sin dagli esordi. L’inizio è incoraggiante: uno a uno in casa con la Fiorentina. Pie illusioni, la squadra crolla e l’innesto a campionato in corso del fedelissimo Max Allegri non cambia il canovaccio di una storia già scritta. Dietro l’angolo, però, c’è il mercato di gennaio. E’ l’ultima chance per raddrizzare una barca alla deriva.
KEWELL E VIDUKA? STOJAK E ASANOVIC
La campagna invernale viene affidata a Salvatore Bagni, nuovo responsabile dell’area sportiva. L’entusiasmo è palpabile, c’è voglia di risalire la china e il nuovo direttore sportivo si mette sulle tracce dei talentuosi australiani Harry Kewell e Mark Viduka. Le trattative, sul punto di concludersi, si arenano improvvisamente. Il Napoli si gioca le due carte di riserva: dal Derby County arriva Asanovic, dal Vojvodina Stojak. Il primo è un regista croato, esaltato oltremodo dalla stampa locale (“E’ più forte di Boban”). Il secondo è uno sconosciuto attaccante, una scommessa di Salvatore Bagni. La situazione non migliora, il divorzio diventa inevitabile dopo un cinque a zero rimediato a Empoli.
TOTONNO E VINCENZO
A tredici giornate dalla fine, il Napoli (ultimo in classifica) già progetta il futuro. Il direttore generale è Antonio Juliano, chiamato a ricostruire la squadra che l’anno seguente dovrà provare a riconquistare la serie A. In panchina torna Enzo Montefusco, l’uomo d’esperienza scelto per gestire (senza affanni) l’ultimo scorcio di campionato. L’esordio, ironia della sorte, proprio con il Vicenza. Un sussulto d’orgoglio consente agli azzurri di imporsi per due a zero con doppietta di Stojak. E’ il canto del cigno, ad aprile il Napoli perde a Parma e la saluta la massima serie, tra le lacrime di Pino Taglialatela e Fabio Cannavaro.
LA REAZIONE DEI TIFOSI
Dopo trentatré anni di militanza nella massima serie, il Napoli retrocede in serie B. Il San Paolo brucia, non più di passione: sediolini in fiamme e contestazioni senza fine, ovviamente indirizzate al Presidente Ferlaino: “Fossi un tifoso contesterei anch’io”. Improperi, insulti e striscioni geniali, come quello apparso verso fine stagione in curva B: “Anche a Napoli il Festival del cinema. Mutti Via col vento, Galeone Titanic, Bianchi Per un pugno di dollari, Mazzone Il Fuggitivo, La squadra Ghost, Ferlaino, Pacco, doppio pacco e contropaccotto, Juliano, Ulivieri e Montefusco Ricomincio da tre”. La sintesi perfetta per raccontare una stagione maledetta e per guardare, con un filo di ottimismo, al futuro.