L’ipocrisia di una festa non dovuta: il San Paolo riabilita Cannavaro

Dario Marotta
29/11/2016

L’ipocrisia di una festa non dovuta: il San Paolo riabilita Cannavaro

L’antica formula del “quando c’era lui” viene tirata spesso in ballo in discussioni politiche da bar che continuano, a certe latitudini, ad avere il loro fascino e la loro importanza.

Nemmeno il calcio, altra materia popolare e dunque di dominio pubblico, si sottrae alle nostalgie del passato, tornate prepotentemente di moda negli ultimi anni. I vantaggi sono evidenti, così come le storture, le stesse che danno poi vita a situazioni kafkiane che consentono, in nome di chissà cosa, precoci riabilitazioni al termine di processi sommari dall’esito diametralmente opposto.

La storia di Cannavaro Paolo insegna, la festa celebrativa con il Sassuolo somiglia ad una moderna Piedigrotta: carri allegorici, emozioni, canti sotto la curva a testimoniare un amore scoperto solamente oggi, con il figliol prodigo sbolognato altrove, quasi a furor di popolo, salvo alcune eccezioni. Un tributo da grande star, bello ed emozionante, una pagina di sport da ricordare che non può cancellare con un colpo di spugna tutto ciò che è accaduto prima. Un passato modificato a seconda delle esigenze che trasforma il vecchio capitano in quell’icona identitaria che non ha mai rappresentato. Magie di una notte ipocrita, eppure da ricordare.

Vecchio capitano

Paolo Cannavaro, da calciatore, ha conosciuto il vecchio Napoli, costretto a cederlo per far cassa e la nuova società di Aurelio De Laurentiis, quando ancora il Presidente, prima di rivedere la sua idea, idealizzava una squadra di soli napoletani. Capitano della rinascita, dalla B all’Europa, eppure costantemente attaccato da gran parte del San Paolo perché ritenuto tecnicamente scarso, inadeguato. Un bersaglio facile, senza precedenti. Capro espiatorio dopo ogni sconfitta, dopo ogni passo falso. Essere napoletani e tifosi del Napoli (e Cannavaro lo è senz’altro) è tutt’altro che un vantaggio perché la piazza, in base a chissà quale teoria, pretende uno sforzo triplo e Insigne ne sa qualcosa.

I fischi assordanti, riservati solo al capitano, in un Napoli Torino di fine stagione (2008-2009) costrinsero l’allora azzurro a scrivere una lettera per difendersi dalle accuse infamanti che continuavano a colpirlo senza sosta, nel segno di un patetico e ingiustificato accanimento: “Quei fischi non credo di meritarli, né un simile atteggiamento da parte vostra. Non ho mai avuto alcun gesto irrispettoso verso il pubblico e ho sempre accettato tutte le critiche. Avete il diritto di applaudire quando si vince e la libertà di fischiare quando vanno male le cose. Così com’è giusto contestare un errore o una brutta prestazione, ma non posso accettare di essere il bersaglio di un accanimento che ritengo il frutto di un inspiegabile pregiudizio”.

Bastava poco

Parte di una storia forse ingombrante ma allo stesso modo legata a quel passato richiamato in causa ieri sera, con il Sassuolo, quando Cannavaro è stato accolto come un novello Bruscolotti. Esagerazioni, in un senso e nell’altro. Paolo si è goduto la passerella, ha cantato insieme ai tifosi ma si è concesso lo strappo alla regola perché nella tranquilla Sassuolo non se la prenderanno per quella eccessiva testimonianza d’affetto. Il San Paolo ha così riaccolto il vecchio capitano con tutti gli onori del caso. Ma forse, oggi come allora, sarebbe bastato non fischiare.