INTERVISTA – Renica: “Napoli indebolito, nel calcio italiano troppi stranieri”
Intervista ad Alessandro Renica, ex calciatore di Napoli, Sampdoria e Verona. Da Higuain al Sassuolo, passando per i troppi stranieri in Serie A.
Quando a Napoli e a Verona si parla di Alessandro Renica, le emozioni inevitabilmente prendono il sopravvento. Difensore roccioso e gagliardo, con esperienza da vendere e tanti anni ad alti livelli. Le gioie vissute ai tempi di Maradona, il ritiro con la squadra della sua città. Renica è un vero e proprio simbolo di un calcio che è cambiato. Persino il suo ruolo, quello del libero, ormai no esiste più.
In esclusiva per la redazione di Contra-ataque, Renica ha parlato del suo passato da calciatore ma non solo, trattando con schiettezza e sincerità i temi principali del panorama calcistico nostrano.
Un gol storico
Partiamo dal gol più importante della sua carriera, quello contro la Juventus in Coppa UEFA. Sarebbe interessante conoscere le sensazioni scaturite non durante il match ma nel post, a mente fredda. Il suo è stato un gol a suo modo storico.
“Quando giochi ovviamente devi velocemente resettare tutto, poiché bisogna concentrarsi sugli avversari. Ora che sono fermo lo assaporo di più quel gol, magari ne ho capito fino in fondo anche l’importanza, anche perché lo siglai in un contesto particolare e irripetibile. E’ stato un gol unico: contro la Juventus, durante i quarti di finale, con centomila persone al San Paolo. Tanta roba”.
La situazione attuale non sembra delle migliori. Tra Sarri e De Laurentiis sembra quasi ci sia in atto una sorta di “guerra fredda”…
“Ovviamente non ho informazioni dettagliate, però è anche vero che aver creato tante aspettative su una squadra che si è indebolita è sbagliato. De Laurentiis può dire quello che gli pare ma la squadra è più debole“.
Una partenza decisiva
A livello generale, quanto si è indebolita la squadra secondo lei?
“Io lo dissi mesi fa, quando tutti pensavano si potesse far bene: su Higuain non si può rimediare. E’ impossibile da trascurare la sua cessione, era troppo importante per la squadra. In piccolo era un po’ come Maradona: dava sicurezza alla squadra, tirava il gol in un momento delicato su uno spunto personale, faceva crescere gli altri. Bisogna avere il coraggio di dire, come ha fatto anche Sarri, che questa è una squadra di prospettiva ma che non può permettersi di vittorie importanti oggi. Certe cose bisogna dirle prima che accadano, altrimenti si fa presto a dire di capirne di calcio. Lo dico in maniera non polemica ma il calcio non tutti lo capiscono. Mi meraviglio di gente che non ha capito quanto sia indebolito il Napoli”.
Gli errori moderni
Cosa può fare Sarri a livello tattico? Un cambio di modulo potrebbe aiutare o rappresenta un falso problema?
“I moduli servono per parlare di scacchi e di dama all’inizio, dopodiché il movimento della squadra, la voglia, la volontà e la disponibilità offensiva e difensiva contano davvero. I moduli non contano un cacchio, detto onestamente. Veramente niente. Quando si parla di moduli si discute più che altro del tipo di soluzioni che si possono trovare. La realtà del Napoli però, come ha detto Sarri, è che bisognava dire che questa è una squadra di prospettiva ma non di aspettative. Io son convinto che la sincerità conta molto di più, così come il progetto. Magari tra due-tre anni questi giovani consentiranno al Napoli di vincere lo Scudetto. Bisognava spiegare che sarebbero arrivati giocatori in prospettiva, serviva però anche mantenere i più bravi. Perché il problema del Napoli è che se poi arriva una squadra e porta via i migliori questo non va bene”.
De Laurentiis ha spesso sostenuto che “il Napoli non vende”, riferendosi ai migliori…
“A De Laurentiis ho persino consigliato di trovare qualche investitore cinese che possa mettere qualche soldo. Perché alla fine, siamo sinceri, non ce la si può prendere con lui. Dal punto di vista calcistico è stato molto bravo, ha preso una squadra dalla C e l’ha portata in Champions, sfiorando lo Scudetto. Ha venduto giocatori importanti e li ha rimpiazzati altrettanto bene. Questa volta la cosa non ha funzionato e questa squadra non va caricata di pressione. Anche senza l’infortunio di Milik, che è un attaccante forte ma non all’altezza di Higuain, il Napoli sarebbe stato meno competitivo. Si è perso moltissimo senza l’argentino”.
La sincerità di Sarri
Spesso l’ambiente che ruota attorno ai destini della squadra non aiuta, tra voli pindarici e aspettative troppo grandi.
“Io lo capisco, i tifosi vogliono sognare. Anche io a Napoli ho vissuto momenti belli e brutti, so come si esalta e si deprime facilmente la piazza. E’ una cosa nel DNA, non ci si può fare niente. Sicuramente le cose sono migliorate ma è un problema di capire la cultura del calcio e creare aspettative per quello che si ha, non per quello che non si ha. Nessuno ha il coraggio di dire certe cose, purtroppo. Le frasi da populismo non servono e creano solo polemiche. Leggo attacchi a Sarri ma per me è inattaccabile: credo sia un allenatore bravissimo. Guai se il Napoli dovesse perderlo. Lui di certo dovrebbe stare più tranquillo e cercare di concentrarsi sul lavoro”.
Se bisogna trovare una presunta pecca del tecnico azzurro, forse gli si può imputare qualche insufficienza a livello comunicativo…
“A me sembra una persona sincera. Se le persone sincere non ci piacciono…A me si, perché dicono il bello e il brutto. Non apprezzo chi ci dice quello che vogliamo sentirci dire, perché spesso non corrisponde alla verità”.
La soluzione in casa
Cambiamo argomento: lei ha vinto la Coppa UEFA nel 1990. Cosa pensa invece dell’attuale format della competizione, da anni conosciuta come Europa League?
“Ci sono stati dei cambiamenti. A me piaceva la formula che ho trovato da giocatore, però ora c’è da giocare tante partite e da far business”.
Un’altra squadra a cui lei è legato è inevitabilmente il Verona. Gli scaligeri, allenati peraltro dal napoletano Pecchia, sono primi in Serie B. Per dare stabilità tra le grandi ed evitare il saliscendi degli ultimi decenni cosa può fare la proprietà attuale?
“Innanzitutto ci tengo a precisare una cosa: Verona non è più razzista nei confronti di Napoli. Lo dissi già un anno fa. Non solo il tecnico ma anche il direttore sportivo è napoletano. Anche svariati giocatori che hanno indossato la maglia della squadra lo erano (due esempi, Maietta e Cutolo, ndr). Molto è stato fatto. Lo dico perché c’è stato molto vittimismo: i cori li producono 5 deficienti, questa è la verità. Finalmente Verona ha superato questa cosa brutta, vissuta soprattutto negli anni scorsi. Era qualcosa di orrendo, ma fortunatamente è il passato. Per quanto riguarda il club, il modello che il Verona deve seguire e “copiare” ce l’ha già in casa, è il Chievo! E’ il paradosso del calcio. E le dico di più: se ci fossero città che a livello sportivo iniziassero a lavorare bene, con professionalità, metodologia, conoscenza e cultura del lavoro, il Chievo difficilmente potrebbe stare in Serie A. Con tutto il rispetto che ho per il club. Stiamo parlando di un quartiere di 1500 persone che da un ventennio circa si trova ad alti livelli. Il Verona dovrebbe copiare il metodo di lavoro e tutte le altre cose che hanno generato le fortune del Chievo”.
Due progetti giovani
Negli scorsi anni sono emerse realtà simili a livello sportivo, come il Sassuolo.
“Il Sassuolo però rappresenta un fattore diverso, dato che ha una potenza economica alle spalle che il Chievo non può permettersi. E’ chiaro che se ci sono i soldi si mantiene un livello superiore. Il Chievo, ad esempio, questo non può farlo. Con i pandori è difficile, essere leader mondiali nella ceramica di certo aiuta. Squinzi si è posto l’obiettivo di vincere lo Scudetto, quest’anno ovviamente è problematico tra Europa League e infortuni, ma se il progetto continua possono sognare. Anche il progetto dell’Atalanta è molto interessante. La Dea ha fatto una scelta molto coraggiosa, quella di puntare su giovani calciatori italiani, di qualità, e meno sugli stranieri. Bisogna trovare la giusta miscela. Con tutti questi stranieri, inoltre, ci sono giri che mi sembrano poco chiari. Non si possono vedere delle squadre con 20 giocatori stranieri…per me è troppo. Dopo tutto l’Italia ha vinto 4 titoli Mondiali, evidentemente non siamo così scarsi. Questo è un Paese che vive di pane e pallone, con gli allenatori più bravi del mondo. Non la capisco molto questa situazione, c’è qualche interessa che va oltre e che limita i nostri giovani”.
Alla ricerca dell’ItaLeicester
Quindi secondo lei può esistere un Leicester italiano?
“Domenica avremo risposta importante in tal senso, perché se l’Atalanta vince contro la Juventus secondo me ci possono pensare al titolo. Sarebbe una cosa bella, anche perché siamo un po’ stufi di veder vincere lo Scudetto a club potenti economicamente. Il calcio dà emozioni belle in tal senso. Lo stesso Verona, la Sampdoria, il Cagliari sono esempi, anche se è parecchio tempo che non si verificano vittorie del genere. Una sorpresa del genere sarebbe molto bella”.
L’erede
Per chiudere: nel calcio moderno esiste un nuovo Alessandro Renica?
“Difficile da dire, anche perché il ruolo del libero ormai è sparito. Come struttura ero un po’ come Albiol, con la differenza che io ero mancino e prediligevo il calcio lungo verticale. Onestamente non credo ci sia, soprattutto per via del ruolo e del calcio che comunque è cambiato”.