Intervista esclusiva a Calori, l’uomo della pioggia che condannò la Juventus

Intervista esclusiva a Calori, l’uomo della pioggia che condannò la Juventus

Duro ma leale: Alessandro Calori ricorda quel pomeriggio di Perugia: “C’era il diluvio universale”

Poche ore prima della firma con il Trapani, Alessandro Calori ci racconta la sua storia da uomo di campo. Un lavoratore. Uno sportivo che ha fatto dell’abnegazione un marchio di fabbrica. Una vita trascorsa a lavorare il doppio degli altri, con un beffardo premio che lo ha consegnato alla storia. Nella memoria collettiva il gol sotto il diluvio che scippò lo scudetto alla Juventus. Il professionista che mise da parte il tifoso che sognava Scirea.

Alessandro Calori, una vita passata ad Udine per lei. La squadra di Pozzo è definita come il modello da seguire: come ha vissuto gli anni 90 in Friuli?

Sono arrivato là con l’Udinese in Serie B, sono andato via dopo otto anni dove siamo andati per la prima volta in Europa. Ho visto crescere questa società che è diventata un modello non solo in Italia ma anche in Europa. Loro (i Pozzo, ndr) prendevano i giovani, li aspettavano, li valorizzavano e una volta venduti avevano già il sostituto pronto. Era già un’idea di calcio innovativa.

La sua annata migliore per reti segnate è stata a Perugia con 5 centri ma anche 1 autogol, come ci si sente quando si batte il proprio portiere?

Male (ride), come ci si sente. Ti cade il mondo addosso.

Quell’anno fu importante: fu il terzo marcatore del Perugia con 5 reti dietro ad Amoruso e Olive. Con i suoi gol condannò il Toro alla B e non permise al Parma di andare in CL, tra l’altro con un gol bellissimo. Si sente un distruttore di sogni?

Posso anche creare sogni, bisogna vedere da che punto di vista si guarda. Per fortuna o per sfortuna mi è sempre capitato di essere decisivo per la mia squadra. Da allenatore, ho anche portato il Portogruaro in Serie B, una cosa che sembrava impensabile. L’ultimo anno di Serie A del Pisa c’ero, insieme a Chamot, Simeone, Padovano. Non mi sento un distruttore, anzi. Io faccio questo mestiere con passione e amore, sentimenti che vedo poco a giro.

Arriviamo a quel Perugia-Juventus: gol al volo di destro con la palla che scende, così come contro il Parma. Provava spesso questa soluzione?

Sono sensazioni che non provo più da molto, è tanto che non gioco. Ho sempre cercato di migliorarmi, ero un difensore ma mentalmente ero un attaccante. Mi è sempre piaciuto attaccare, vivere le cose in attacco. Io non mi stancherò mai di migliorare, i gol realizzati sono frutto di questo. A 35 anni mi mettevo a fine allenamento ad esercitarmi sui cross, le sovrapposizioni. Questo fa parte della professionalità di una persona credo. Ho giocato fino a 37-38 anni perché ero un professionista, sono stato fortunato anche a non avere mai infortuni.

Ricorda il momento in cui vide la palla entrare in rete, pensava di passare alla storia?

Se qualcuno ci pensasse credo che potrebbe essere una scena da film. Inizia la partita, il primo tempo finisce 0-0, siamo stati un’ora e un quarto negli spogliatoi con fuori il diluvio universale. Quello è uno dei pochi stadi (Renato Curi, ndr) che assorbe bene l’acqua. Abbiamo ripreso, aveva allagato tutto, lo stadio, i parcheggi, la gente era andata via. Abbiamo ripreso a giocare e la Juventus ha sbagliato una quindicina di palle gol, negli ultimi minuti ho fatto gol. È andata così. Io tra l’altro sono juventino dalla nascita, ero un tifoso di Scirea, era il mio idolo. Da tifoso ero triste ma professionalmente ho fatto quello che dovevo.

Tante partite di questo campionato sono state interrotte e riiniziate, Roma-Samp, Fiorentina-Crotone. Quella viene ricordata perché in ballo c’era lo scudetto.

Sono passati sedici anni, la gente mi ferma ancora per strada. Quando vado a Roma sembra che arrivi il Messia.

Disse che Gaucci vi aveva minacciato, almeno l’ha ringraziata?

Aspetta, questa è una cosa che voglio precisare. Noi eravamo salvi, non avevamo obiettivi. Gaucci venne nello spogliatoio e ci disse: “Vi sta guardando tutto il mondo, fate il massimo che potete fare”. Poi uscì fuori e andò dai giornalisti: “Se non vincono li porto in Cina fino a giugno”. Poi dopo uscì fuori che io avevo detto che ci aveva minacciati ma lui lo aveva detto alla stampa. È stato riportato così, ma è diverso come ho spiegato. L’aveva detto pubblicamente, ma a noi non aveva detto nulla di tutto ciò. La differenza è sottile ma c’è. Gaucci lo diceva per spronarci al fine che fosse una partita regolare. C’era anche la storia che avevano annullato il gol a Cannavaro nella partita prima, la pressione mediatica era incredibile.

La finale Intertoto persa con il Brescia, quali sensazioni ha al riguardo?

Si perse la finale senza perdere. Pareggiammo a Parigi contro il PSG 0-0 e al ritorno non andammo oltre l’1-1. Di là c’erano grandi giocatori: Anelka, Pochettino. Era una bella squadra. Noi facemmo anche record di punti quell’anno, arrivammo settimi in Serie A.

Il Brescia, non una grande, diceva la sua anche in Europa. Oggi è tutto il contrario. Lei cosa pensa della Serie A? È peggiorata? Se sì da quando.

Si sta riprendendo. I soldi che avevamo da spendere una volta, adesso non ci sono più. Adesso i grandi campioni finiscono in Inghilterra, li comprano gli arabi del PSG, li comprano gli spagnoli del Real e del Barcellona. L’Ibra di turno una volta veniva da noi, adesso va da un’altra parte. Questo fa pensare che ci sia qualcosa da rivedere. Noi parliamo tanto ma siamo indietro su tante cose: gli stadi di proprietà, la gestione. Noi siamo rimasti indietro e dobbiamo ricostruire con i nostri giovani, i nostri vivai i giocatori da riproporre sia in Nazionale che nei club.

Le 20 squadre rendono il tutto meno appetibile e più semplice?

Su questo sono poco d’accordo. Non è che due realtà in più possono cambiare un campionato. A mio avviso, la competitività non è data dal numero di squadre. Questa idea c’è in giro e se ne sente parlare da molto, alla fine magari succederà. Non è quello il problema principale del nostro calcio.

Adesso però ci stiamo riprendendo, in Serie A sono tornati i bomber. Lei è stato un grande difensore: duro ma leale. Oggi sarebbe stato più difficile per lei imporsi?

Io ho avuto la possibilità di giocare 10 anni in Serie A e ho avuto a che fare con grandi campioni. Quando sei in campo nessuno te la regala. Io ho marcato da Maradona a Careca, da Ronaldo a Van Basten, Weah, Batistuta, Totti chi più ne ha più ne metta. Se giochi contro questi qua e non sfiguri vuol dire che qualcosa hai fatto. A confronto, quelli che ci sono ora non dico che non “gli legano le scarpe” però non c’è proprio paragone come spessore, come personalità. Quindi se potevo giocare in quella Serie A, figuriamoci se non avrei potuto farlo oggi.

Icardi e Dzeko sono differenti nel modo di essere ma la mettono dentro. Come si sarebbe approcciato Alessandro Calori ai due?

Io ho giocato sia a uomo che a zona grazie a Galeone nel periodo in cui stava cambiando il calcio. Un difensore importante deve saper marcare in tutti e due modi. Se non si ha il barlume di come si marca, Icardi è micidiale perché si muove con astuzia in mezzo all’area, ti anticipa, è bravo nel gioco aereo. Adesso giochi più di reparto che individualmente. I giocatori dovrebbero saper marcare nella propria zona di competenza, cosa che non tutti sanno fare anche ad alti livelli.

Stefano Mastini