Hernanes story: progetto di un campione a metà
Hernanes carriera – La parabola del profeta brasiliano
Primo o ultimo? In fondo è questione di dettagli. La parabola del Profeta ha raggiunto l’apogeo ed è sprofondata nelle viscere dell’anonimato, lasciando inevasa la questione. Trentuno anni e mezzo sono sufficienti per tracciare un bilancio sul rendimento del volante, dell’interno o del trequartista, a seconda delle stagioni e degli allenatori. I dubbi sul ruolo, avallati dalle diverse considerazioni tecnico-tattiche legate ai pareri dei tanti “mister” incontrati nell’arco della carriera italiana, svelano in un certo senso l’inganno, vero fino ad un certo punto. Per Reja, nel rapporto odio-amore nato con il friulano, era un trequartista nudo e crudo. Troppo lento e compassato nel ritmo per giocare davanti alla difesa, come faceva (bene) in Brasile. Altro calcio, come si usa dire in questi casi. Dubbi leciti, spazzati via da una qualità fuori dal comune. Già perché sulla forza calciatore, al di là di ogni dibattito sulla posizione e sul rendimento, non c’erano dubbi: bravo come pochi. Eppure, uno dei migliori Hernanes, cioè quello ammirato durante la prima stagione tricolore, ha sì collezionato trentasei partite da titolare in campionato ma è stato sostituito in ben diciotto occasioni. Un cambio ripetuto, giustificato così dal goriziano tutto d’un pezzo: “Non lo tolgo per il gusto di toglierlo o per farlo riposare, ma soltanto perché a giocare in questo modo ci possono essere difficoltà tattiche durante la partita e magari bisogna riequilibrare la squadra. Poi l’ho sempre tolto quando eravamo in vantaggio, non il contrario”. Una scelta in realtà legata alle oggettive difficoltà palesate nella fase di non possesso, di fatto sconosciuta al brasiliano.
COME PIRLO
Peggio ancora l’anno seguente, sempre con Reja al timone e sempre da rifinitore avanzato: appena cinque le gare concluse a fronte delle trentuno presenze raccolte in serie A e nonostante gli otto gol realizzati. Incostanza e scarsa attitudine al lavoro sporco, fondamentale anche da trequartista. Croce e delizia, simbolo di quell’indolenza tipicamente brasiliana che rapisce gli esteti e innervosisce gli intransigenti. Due anni col muso lungo, sprazzi di un campione potenziale, restituito alle origini nella stagione 2012 2013, con l’avvento sulla panchina della Lazio dello svizzero Vladimir Petkovic. Fiorisce l’Hernanes alla Pirlo: quattordici gol tra campionato e coppe più otto assist. A ventisette anni Hernanes è il leader della Lazio ed è l’idolo dei tifosi. Come spesso accade, però, quando tutto lascia immaginare il percorso in ascesa, fa capolino il declino, in questo caso prematuro. Gli ultimi tormentati sei mesi con la Lazio, si chiudono col trasferimento all’Inter, durante la finestra di gennaio.
REGISTA DI SE’ STESSO
Lacrime d’addio e ambizioni di consacrazione. Richiesto esplicitamente da Mazzarri, allenatore noto per aver “bruciato” diversi registi, non affini alla sua idea di calcio. Si ricordano, tra gli altri, Volpi alla Sampdoria e Cigarini al Napoli. All’Inter, il falso eclettico Hernanes, viene provato da interno, da trequartista o da centrale, con risultati mediocri. Peggio ancora con Mancini che spesso lo impiega largo a destra, esponendolo a magre figure. Il colpo di scena di scena ad agosto del 2015, con l’inaspettato passaggio alla Juventus, persa nella corsa al top player: da Witsel a Draxler, infine Hernanes, acquistato per 13 milioni (undici più due di bonus) durante l’ultimo giorno di mercato. Ultimo minuto, appiglio a cui aggrapparsi per chiudere la campagna acquisti. Un colpo quasi casuale, non pensato, non studiato e (si immagina) non approvato da Allegri. Il resto è storia nota: un anno e mezzo di oblio, qualche fischio di troppo e l’effige di un calciatore lontano parente di sé stesso. Ora (forse) il Genoa, ultima carta per rilanciarsi sul tavolo verde. Top o flop? Un’altra possibilità per non lasciarsi dietro il vuoto di una risposta non data.