A tutto Cafù: il dramma di Francia ’98 e la verità sulla finale di Istanbul
Istanbul 2005 – Marcos Cafù, ex capitano del Brasile ed ex giocatore di Roma e Milan, ricorda le due sconfitte più brucianti della sua gloriosa carriera.
Ha quasi 47 anni, Marcos Cafù, ma a vederlo c’è chi è pronto a giurare che ancora oggi sarebbe in grado di fare la differenza sulla fascia. Una carriera, quella del pendolino, che ha vissuto il suo apice negli anni trascorsi in Italia con le maglie di Roma e Milan e, ovviamente con quella del suo Brasile. In quasi vent’anni di professionismo Cafù ha collezionato 27 trofei, ma anche qualche delusione.
Intervistato da “FourFourTwo”, l’ex terzino brasiliano si è soffermato proprio su due “drammi” sportivi vissuti in prima persona. A cominciare da quella maledetta notte antecedente la finale del Mondiale di Francia, nel 1998, quando il Fenomeno Ronaldo rischiò di passare a miglior vita.
Nella finale la Francia meritò. Prima, invece, tanta paura: Edmundo vide Ronaldo sdraiato sul letto e Roberto Carlos era sdraiato a fianco con la tv accesa Aveva la cuffia e non si era accorto di niente. Il Fenomeno era viola. Poi Cesar Sampaio lo salvò, scena agghiacciante.
Quel Brasile era una macchina da guerra e si riscattò 4 anni più tardi in Corea e Giappone, quando Cafù provò l’ebbrezza di alzare al cielo la Coppa del Mondo da capitano.
Ah, il 2002: Yokohama Stadium, avevo il mondo tra le mani. L’ho vinta da capitano. Mentre l’alzavo al cielo avevo in testa tutta la nazione, la mia terra.
DA ROMA A MILANO, COME UN PENDOLINO
Nei suoi 6 anni trascorsi a Roma, sponda giallorossa, Cafù si guadagnò il soprannome di “pendolino”. Le sue scorribande sulla corsia di destra divennerò celebri e la costanza con cui percorreva avanti e indietro la fascia laterale ricordava davvero il famoso treno che collegava Roma e Milano in meno di quattro ore.
Ero, ero proprio una locomotiva. Non mi fermavo mai: è stato un periodo pazzesco. Forma strepitosa. Mi sentivo velocissimo, con le gambe e nella mente. Quel soprannome fu proprio azzeccato.
Nomen omen, mai come in questo caso. Dopo Roma il Pendolino ha fatto tappa a Milano. Eppure, racconta Cafù, il Milan e la sua seconda giovinezza rischiarono seriamente di fare la fine di un altro famoso treno, quello che passa una volta sola e se lo perdi te ne penti per tutta la vita.
Avevo un pre-contratto con Yokohoma e loro mi avevano già mandato parte dei soldi. Ero convinto di andare lì, avevo 32 anni e stavo pensando al futuro, al mio ultimo contratto da professionista. Il Milan mi disse che mi voleva, 15 giorni prima della presentazione in Giappone. Non sarei riuscito a convivere con me stesso se avessi rifiutato un club come il Milan.
LA VERITA’ SULLA FINALE DI ISTANBUL
Con il Milan Cafù ha coronato il sogno di alzare al cielo anche la Champions League. Correva l’anno 2007 e i rossoneri colsero una clamorosa rivincita sul Liverpool, giustiziere dei ragazzi di Ancelotti due anni prima nella celeberrima finale di Istanbul. E proprio ricordando quella notte assurda, Cafù ammette che il Diavolo abbassò la guardia dopo essere andato sopra di tre reti.
Segnammo tre gol contro una delle squadre più preparate a livello tattico che io abbia mai incontrato e ci rilassammo. Quando subimmo le prime due reti avvertimmo lo schiaffo, poi dopo la terza non potevamo semplicemente credere ai nostri occhi. Una volta arrivati ai rigori, capii che era già persa. E devo ammetterlo: a fine primo tempo, negli spogliatoi, stavamo già festeggiando.