Zoran Ban: più o meno come fa un piccione

Micaela Catalano
18/04/2017

Zoran Ban: più o meno come fa un piccione
Fonte: juventus.com

Si fa presto a dire il nuovo Boksic. Se provate a fare un sondaggio fra tutte le promesse non mantenute del calcio internazionale, un buon 80-90% vi dirà che è stato rovinato dai paragoni arditi, e quindi fuori luogo. A tanti giovani calciatori basta arrivare in una squadra senza strombazzamenti vari, con la tranquillità di poter dimostrare ciò che sanno fare. Poi se son rose fioriranno, ma sono davvero pochi i calciatori che gradiscono gli accostamenti con i campioni di un passato più o meno recente, ed è facile immaginarne il motivo: fare meglio è difficilissimo, se fai peggio sarai stato al di sotto delle aspettative, aspettative create non si sa bene da chi, come e perché. E’ successo anche a  Zoran Ban, meteora della Juventus degli anni ’90. E dire che a lui bastava davvero poco, per essere felice.

Zoran Ban, dal Rijeka alla Juventus con un’eredità pesante

Il nuovo Boksic. Che poi Alen Boksic ha solo tre anni in più e alla Juve ha lasciato un segno più o meno simile, ma vabbè. Zoran Ban ha la ‘fortuna’ di sbarcare in Italia proprio nell’anno in cui Boksic era appena esploso nel Marsiglia, segnando 23 gol e vincendo tutto con la squadra del famoso scandalo Tapie, quella che strappò la Coppa del Campioni al Milan di Capello nella finale di Monaco. Nel 1993 Zoran Ban arriva alla Juve strappato nientemeno che all’Atletico Madrid, e in comune con Boksic ha solo la nazionalità, croata, perché per il resto il curriculum non è minimamente all’altezza. Undici gol in tre stagioni con il Rijeka e qualche referenza positiva non potevano bastare per fare la stessa carriera, eppure lui mostra subito grande fiducia: “Dicono che somigli a Boksic. Diventerò come lui e chissà, fra qualche anno, potrei anche essere meglio”. Imprudenze di gioventù che forse oggi non ripeterebbe mai. Anche perché, come detto, Zoran si accontenta di poco per stare bene. Più o meno come fa un piccione, cantava Povia qualche anno fa.  In un racconto a posteriori della sua esperienza bianconera, l’ex giovane promessa del calcio croato si mostra in tutta la sua umiltà: “A Torino stavo bene, giravo in Cinquecento ma era come se avessi una Rolls Royce. Ma mi bastava poco, mi bastava girare per la città e andare al cinema, visto che a casa mia non potevo farlo”. Già, perché nel ’93 la Croazia era coinvolta in una guerra che avrebbe sconvolto l’Est Europa e frammentato la Jugoslavia in tanti piccoli staterelli, che oggi, dopo 25 anni, cercano ancora di trovare la normalità. Figuriamoci all’epoca. A Zoran Ban bastava questo, la normalità e la prospettiva di coltivare i suoi sogni. E mica come le persone, che a causa dei particolari mandano all’aria sogni e grandi amori. Magari con una guerra di dieci anni.

Zoran Ban, il breve passaggio alla Juve e le altre due tappe italiane

Insomma, Ban del campione non aveva proprio nulla. Anche l’atteggiamento non è esattamente da primadonna, come dimostrano alcune parole attribuitegli (fonte: CalcioBidoni) nel corso della sua unica stagione juventina. “Per me è già un grande onore passare dalla tribuna alla panchina. Se poi dovessi anche giocare sarebbe il massimo”. Giocare eh, non segnare. Pure perché di gol a Torino non ne fa neanche uno. E ancora, a fine campionato: “Fare il quarto straniero qui sarebbe bellissimo. Ma non ci ho mai contato troppo. Quello che viene, viene”. Il segreto è volare basso, diceva il piccione di Povia, ma forse Zoran lo prende un po’ troppo alla lettera. Se ne accorge anche la Juve, che dopo una stagione fatta di pochissime apparizioni lo vende (non in prestito, lo vende proprio) al Belenenses, in Portogallo, dove gioca 9 partite con 2 reti. L’anno dopo è al Boavista e di reti ne segna ‘addirittura’ quattro, in 16 partite. Torna incredibilmente in Italia, in B, al Pescara. Gli abruzzesi esultano per lui solo una volta in 9 partite, dopo essersi disperati a più riprese per errori inverosimili, e poi lo mandano in Belgio. Nel Mouscron e nel Genk va in doppia cifra e sembra consacrarsi, al Mons ha 30 anni ed è già iniziata la sua parabola discendente. Un anno dopo, nel 2004, ci scommette il Foggia, in serie C. “Ho rifiutato diverse proposte perché credo nel progetto, voglio fare bene col Foggia”, dice Zoran, che forse può finalmente mostrare le sue qualità anche in Italia. E l’inizio promette anche bene: due reti nelle prime cinque, poi però si mettono di mezzo le cause di forza maggiore. La moglie Sanija ha problemi di salute e lui decide di lasciare Foggia e il calcio (a soli 31 anni) per starle vicino. L’amore sopra il cornicione: ti starò vicino nei momenti di crisi, questo dice il piccione di Povia. Senza dubbio bello e romantico, rinunciare per amore a quella che, forse, poteva essere una bella rivincita con l’Italia che l’aveva ripudiato. Ma questo non lo scopriremo mai: evidentemente col nostro Paese non era destino.
Zoran Ban non è più tornato a giocare. In compenso ha intrapreso una promettente carriera di agente e ha rappresentato, fra gli altri, uno dei più grandi prospetti del calcio croato. Parliamo di Tin Jedvaj, 22enne difensore passato per la Primavera della Roma prima di spiccare il volo (a peso d’oro) verso il Bayer Leverkusen, dove ora è un gioiello. Anche in questo caso con l’Italia è stata toccata e fuga. Chissà se riusciremo mai a vederlo protagonista.
di Antonio Papa

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