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Wayne Rooney è un risaputo romantico. Trapianto di capelli a parte, l’attaccante inglese non ha mai rinunciato a delle nottate nei pub, passione mai occultata neanche dal suo fisico, né tantomeno ha mai smesso di rappresentare quella ribellione tipica di un ‘pikey’, il gitano britannico proveniente dalle isole irlandesi. La sua professionalità assoluta non cozza con il suo essere un calciatore lontano dai paradigmi stereotipati e perfetti tracciati dal suo ex compagno Cristiano Ronaldo, che somiglia più a una statua di cera. Insomma, colui che doveva essere la grande speranza di una nazionale inglese che vive ancora del ricordo di un mondiale vinto cinquantun anni fa, sebbene poco incisivo una volta indossata la maglia candida in difesa della Regina, rappresenta comunque un caso unico di dedizione e amore per il calcio. Con i suoi limiti fisici, Wayne Rooney ha saputo riciclarsi in più ruoli ed è stato comunque il trait d’union tra il Manchester United dei Ferguson Boys a quello di José Mourinho, ancora in cerca di identità. Fino al momento del ritorno a casa. “A new star is born on Merseyside” gridava il commentatore di Everton – Arsenal del 19 ottobre 2002, quando dal piede destro di un rossiccio sedicenne vestito di blu partiva un fulmine sul quale Seaman nulla poteva. Oltre a un passaggio di consegne tra il vetusto portiere e il più giovane marcatore di sempre in Premier League, quel gol significava anche la prima sconfitta dei Gunners dopo trentasei incontri. Un segno del destino. E anche l’inizio della caccia alla nuova Volpe dei desideri della Gran Bretagna da parte dei grandi club. Due anni dopo il giovane prodigio, reduce da un discreto europeo in Portogallo, raggiunge il suo opposto Cristiano Ronaldo allo United dopo aver percorso le 34 miglia che separano la sua Liverpool natale alla città più correlata alla working class britannica. La tentazione di far parte della più blasonata società britannica degli ultimi vent’anni e di essere allenato da Sir Alex Ferguson è più forte di quella di difendere i colori del suo amato Everton. Eppure, seppur Red Devil fuori, Roo non ha mai smesso di essere un Toffee dentro.

Il ritorno di Rooney all’Everton, sognare non costa nulla

E così, tredici anni dopo, eccolo prendere la via di ritorno sulla stessa autostrada che lo vede trasformarsi da adolescente in uomo, in quella sorta di sublimazione dell’antieroe che torna a baciare il suo primo, vero e unico amore. L’Everton di Ronald Koeman, che l’anno scorso ha fatto divertire non poco i suoi tifosi, è forse la sola e vera opportunità per Rooney di ergersi a capo di una squadra e di un sentimento. Il primatista di reti con l’Inghilterra e il miglior marcatore della storia dello United non è mai riuscito totalmente ad arrivare allo status di Deus ex Machina in queste due realtà dove la pressione è spesso schiacciante. Tornare all’Everton è per lui la chiusura del cerchio e la grande speranza di dimostrare quanto possa essere davvero un leader. Non importa se da centravanti, trequartista o defilato sulla fascia. Il cuore di Roo è sempre stato al Goodison Park, che verosimilmente gli riserverà un’accoglienza speciale al suo ritorno in maglia blu scura. Forse non lotterà per un posto in Champions League, ma c’è da essere sicuri che il pupillo della Liverpool operaia sarà molto più motivato calpestando l’erba di casa propria. Perché sognare non costa nulla, soprattutto se si difendono i colori del cuore.

Mariaclaudia Catalano

Giornalista pubblicista, inviata d’assalto classe ‘89, una vita in radio e al tg, content editor per vocazione. Convertita al SEO non posso più farne a meno

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