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Con poco più di 87’000 abitanti la città di Burnley è uno dei luoghi più felici degli ultimi mesi del 2017 targato Premier League. Un settimo posto condiviso con Arsenal e Liverpool che rendono la cittadina del Lancashire una delle realtà calcistiche più considerate del panorama sportivo inglese. In particolare, al centro dell’attenzione è finito il manager dei Claret Sean Dyche, o come lo hanno rinomato dalle parti di Turf Moor, “Ginger Mou”. Il picaresco e quantomai britannico pizzetto rosso che cromaticamente si lega ai pochi capelli in capo lo hanno reso l’allenatore alla terza stagione in Premier League uno dei personaggi del momento. Al di là dei risultati sportivi che recitano un rullino di marcia assolutamente sopra le prospettive di inizio stagione per il Burnely, Dyche è un pragmatico uomo di calcio che si sta distinguendo per un atteggiamento sempre entro i limiti della correttezza e mai, come alcuni colleghi della Premier, capace di caricare una partita con frasi e iperboli fuori luogo. Le attenzioni verso l’allenatore del Burnley sono nato quando, con il club nella parte sinistra della classifica, si iniziarono a notare i progressi tecnici e di maturità che certi giocatori con un background di categoria prettamente inferiore stavano mostrando. Un risultato sportivo altamente qualificato che considerando le qualità dei membri dell’organico sorprende non poco: Dyche non ha mai nascosto che le sue ambizioni coincidevano con la crescita del Burnley e una volta sposata la causa del club ne ha fatto una questione personale. Non c’è nessun intento marziano di raggiungere le alte vette della qualificazione alle coppe europee, eppure la squadra di uno degli stadi più rumorosi d’Inghilterra adesso è con il fiato sul collo delle big.

Sean Dyche mon amour

In Inghilterra si sono spesso chiesti se il gioco del Burnley e le competenze molto apprezzate di Dyche non siano all’altezza anche di situazioni calcistiche di livello superiore. Per ora, ma sono solo speculazioni, ginger Mou era stato cercato dall’Everton come sostituto di Koeman al momento del suo esonero, e anche all’Olympic Stadium di Londra i dirigenti del West Ham avevano fatto un pensierino all’ex giocatore di Millwall e Watford. Eppure, fra le righe dei tabloids, si intuisce come momentaneamente Dyche sia uno dei profili più ambiti dalle dirigenze di molti altri club inglesi. Un allenatore che parla la lingua del calcio britannico, un tipico sistema all’inglese in cui nel rettangolo verde vengono esaltate solidità difensiva e profondità verticale. Riguardo Dyche, basti pensare che dopo aver pareggiato 1-1 ad Anfield contro il Liverpool di Klopp e Salah, rispondendo alle nervose frasi del tedesco che alludevano a un fortunoso risultato del Burnley visti i tanti tiri dei Reds, con una calma signorile Dyche ha risposto: “Non ho problemi con il punto di vista degli altri riguardo alla mia squadra o a come giochiamo. Abbiamo pareggiato perchè abbiamo segnato per primi e ci siamo difesi bene”. In Italia, a un’accusa simile, la polemica antropologica fra i due allenatori sarebbe durata chissà quante settimane. Oltre tutto, la facilità del tecnico di Kettering di mantenere la calma e allonanare le pressioni dalla sua squadra hanno permesso di creare una sorta di scudo mediatico attorno al club, che oggi, appunto, fa toc toc alle parti alte della Premier. Non c’è bisogno di dire poi come i tratti somatici e retorici siano state le migliori brochure per il personaggio Dyche, che nel giro di alcune stagioni è passato da sconosciuto tecnico working class di provincia a un emblema di un calcio cinico ma organizzato;il soprannome, dopo tutto, non mente. I risultati ottenuti nella corrente Premier League sono il risultato di cinque stagioni seduto sulla panchina di Turf Moor, un quinquennio in cui spicca la vittoria della Championship nella stagione 2015-2016 nonchè il forte legame creato con l’ambiente. Il popolo del Burnley lo ha eletto a una sorta di simbolo cittadino, un’icona del club nel panorama così vasto e assai eterogeneo della Premier League, attualmente il campionato di calcio per eccellenza.

 

Parlando di Premier spunta il Burnley

Nelle ultime tre giornate, ovvero quelle a cavallo tra fine ottobre e la metà di novembre, Ginger Mou ha portato a casa nove punti battendo Newcastle e Swansea (in casa) e il Southampton (in trasferta): i giornali britannici hanno mielosamente elogiato la prestazione dei Claret contro Gabbiadini e soci, esaltando la capacità di Dyche di bloccare il gioco molto ben collaudato di Pellegrino. La caratteristica topica di questo Burnley sembra essere proprio il personale direct football di Dyche, che senza troppi fronzoli ha scelto come modulo un generoso 4-4-1-1, insistendo molto sulla compattezza delle linee e la possibilità di sfruttare il “trequartista” per la giocata verticale. Il Burnley ha una media di 23 duelli aerei vinti su circa 46 a partita, e per quel che riguarda i contrasti, altro punto nevralgico della strategia di gioco di ginger Mou, la media è di 14 duelli vinti a partita: per rendersi conto della fisicità della squadra, basti pensare che in Premier la media di contrasti vinti pone il Burnley la quarta formazione dietro a City, Everton e United, rose di blasone  con ben altri giocatori. Essenzialmente i Claret intercettano più palloni di City, Chelsea e Liverpool, rendendo la linea di centrocampo solitamente formata da Gudmundsson-Defour-Cork-Brady, uno dei migliori sistemi d’intercettazione di tutta la Premier League. Da sottolineare tra l’altro come il Burnley costruito da Dyche negli anni sia una formazione quasi esclusivamente formata da giocatori inglesi o irlandesi, una base fortemente vicina culturalmente e in cui, nella stagione corrente, i giocatori che vengono da terre al di fuori della Gran Bretagna sono solo sette (Gudmundson, Wood, Defour, Lindegaard, Wells, Ulvestad, Barnes): una squadra del popolo che parla la lingua del popolo. Con un allenatore simile a Mourinho ma che non è Mourinho, e soprattutto, non vuole esserlo. Meglio rimanere solo ginger. 

Mariaclaudia Catalano

Giornalista pubblicista, inviata d’assalto classe ‘89, una vita in radio e al tg, content editor per vocazione. Convertita al SEO non posso più farne a meno

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