La faticosa rinascita di Cerci

Premessa: la ricostruzione fisica e mentale di un giocatore considerato fino a qualche anno fa come uno in grado di fare la differenza, passa anche da periodi bui fatti di partite anonime, nelle quali anche ricevere palla e puntare l’avversario diretto può risultare un’impresa assai ardua. Ancora di più quando, dopo un anno interamente trascorso ai box e una delicata operazione al ginocchio capace di mettere a rischio persino la prosecuzione della carriera, si fa fatica a stare in campo, correre in avanti per poi ripiegare all’indietro, anche solo abbozzare la giocata tipica di un repertorio vasto, almeno ai bei tempi. Per restare a galla e credere non sia tutto inutile, occorrono certamente voglia, determinazione e buona sorte, componenti fondamentali in un percorso la cui buona riuscita appare tutt’altro che scontata. Eppure il mondo attorno ad Alessio Cerci sembra finalmente cambiare, merito di alcune prestazioni convincenti e un’intuizione tattica che potrebbe produrre benefici nel prossimo futuro. Lontano parente dell’iradiddio ammirata a più riprese con la maglia del Torino, l’ex prodotto del vivaio della Roma appare trasformato dalla cura Pecchia, il tecnico del Verona per il quale provare a ritrovare tracce del giocatore che fu, potrebbe rappresentare il lasciapassare per una salvezza al momento ancora tutta da conquistare.

Cerci, l’irrimediabile declino di un talento naturale

43 minuti, 2 presenze complessive, questo il bottino di Cerci nella scorsa stagione con l’Atletico Madrid del Cholo Simeone dopo l’operazione al ginocchio del maggio 2016 quando ancora vestiva la maglia del Genoa. Nel calcio di oggi, un’intera stagione di inattività è una condanna per qualsiasi calciatore, qualcosa in grado di toglierti anche quelle poche, granitiche certezze accumulate in anni e anni trascorsi a rincorrere un pallone. Lento, impacciato, timoroso. Così Cerci si presentava a inizio campionato, insicuro come un debuttante alle prime armi, quasi un corpo estraneo nonostante la familiarità con la posizione occupata in campo, quella di esterno offensivo. Una scommessa per molti azzardata la mossa del club scaligero di puntare su un giocatore tutto da ricostruire, reduce da una serie infinita di prestiti e guai fisici, ma comunque voglioso di rimettersi in gioco. Due gare da titolare, poi un infortunio muscolare conseguenza diretta dei tanti mesi lontano dal campo, sembrava già dover rappresentare la fine dei sogni di gloria. Il rientro a piccoli passi, senza rischiare inutili ricadute, sempre nel ruolo a lui tanto caro in gioventù, quando ai tempi di Pisa un certo Gian Piero Ventura riuscì a ricavarne 10 reti e 7 assist in 26 presenze. Nonostante l’impegno, si capisce perfettamente che qualcosa non quadra. Cerci ha perso di esplosività, smarrendo il cambio di passo e la capacità innata di tagliare verso il centro per armare il micidiale sinistro a giro. Circostanza per ceri versi inevitabile che a Verona avevano evidentemente messo in preventivo, intuendo come liberare Cerci da gravosi compiti di ripiegamento in fase di non possesso, potesse rappresentare la soluzione per collocare il proprio elemento di maggior classe al centro del progetto, terminale offensivo utile anche ad aprire con i suoi movimenti spazi invitanti per gli inserimenti senza palla dei propri compagni.

La svolta decisiva

Al Mapei Stadium, teatro della prima vittoria esterna stagionale dell’Hellas, è andata in scena la nuova versione del Cerci prima punta, posizione mai ricoperta in carriera. “Lo voglio più vicino alla porta. Inutile fargli spendere energie in fascia ora, visto che viene da due anni in cui ha giocato poco” –  ha detto Pecchia nel dopo partita – lo stesso che l’ha richiamato in panchina a mezzora dal termine, sostituendolo con Pazzini, a conferma della svolta tattica intrapresa. Un primo tempo di livello assoluto quello disputato dal classe ’87, nel quale ha più volte messo in crisi la linea difensiva neroverde grazie al costante movimento lungo tutto il fronte d’attacco, alternando l’attacco della profondità alla scalata all’indietro per ricevere palla spalle alla porta, svariando frequentemente sulla fascia per liberare l’area di rigore e permetterne così l’attacco sistematico ai centrocampisti (l’azione della rete del vantaggio di Zuculini è emblematica da questo punto di vista). Un Verona più accorto e meno sbilanciato è così riuscito a mantenere la porta di Nicolas inviolata dopo 5 partite, rilanciando prepotentemente le proprie chance di salvezza. Tornato decisivo per le sorti della sua squadra, Cerci avrà vissuto antiche sensazioni ormai sopite, momenti che qualcuno pensava irripetibili. Lampi del giocatore per il quale fino a qualche tempo fa gli aggettivi si sprecavano, senza però che nessun club italiano decidesse seriamente di affondare il colpo. L’ennesimo talento sprecato e dimenticato troppo in fretta dal nostro movimento.

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