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La vittoria contro il Napoli ha portato la Juventus a meno uno dalla squadra allenata da Maurizio Sarri, e non solo: il colpaccio del San Paolo ha confermato ulteriormente che Massimiliano Allegri è uno dei migliori allenatori presenti sulla scena internazionale. Bloccare una delle migliori squadre d’Europa in casa propria è un risultato straordinario e come esso è maturato è ancora più considerevole. Allegri ha costretto Sarri a fare chapeau in conferenza stampa rendendo il conterraneo arrendevole nell’analisi del match. La Juve ha evidenziato tutti i problemi di un meccanismo all’apparenza perfetto ma che in seno nasconde un sottobosco di piccoli angoli di carenza. Aggredendo da subito le linee offensive Allegri ha permesso ai suoi di guadagnare terreno fin dal 1′ e il Napoli, si è visto bene, ha accusato non poco la pressione alta dei bianconeri. Il gol di Higuain ha complicato i piani di Sarri perché da lì in poi la Juve ha parcheggiato il bus in maniera esemplare davanti la sua porta, un clichè di tante partite juventine negli scontri diretti. Eppure, per quanto si possa criticare o screditare la strategia dell’allenatore livornese essa rimane sostanzialmente efficace e vincente, di certo un po’ apatica ma comunque funzionale. Se lo spettacolo è quel filo narrativo che ha reso Napoli-Juve un incontro leggermente povero di suspence, al contrario dal punto di vista tattico la partita ha eletto la Juventus definitiva vincitrice della battaglia tra filosofie. Il pragmatico Allegri ha insabbiato l’armata di Sarri come un torero con il toro, e sfortunatamente per il Napoli, questa volta non era lui a condurre il gioco.

Allegri contro il Napoli

Valutando l’operato di Max Allegri negli ultimi due anni è evidente che l’allenatore ex Milan ha compiuto dei passi da gigante sul piano della gestione delle situazioni. Oltre ad essere un portento della tattica, ora è sicuramente un raffinato stratega. L’idea di bloccare gli ultimi venticinque metri delle linee azzurre ha dato i suoi risultati facendo convergere il possesso avversario necessariamente sulle laterali, dove ottimamente Asamoah e con un po’ di fiatone De Sciglio hanno fatto buona guardia su Insigne e Callejon. Impossibile arrestare il pinball sullo stretto dei triangoli di Sarri, Allegri ha esplicitamente atteso che il palleggio arrivasse sulla trequarti, dove anche Dybala e Douglas Costa si sono sacrificati marcando i giocatori azzurri in fase di non possesso. Interdire le linee tra Mertens e i registi (Jorginho o Hamsik) ha scomodato astutamente il piano del Napoli, che con una squadra più scoperta avrebbe di certo trovato con più facilità i canali per imbucare le mezzali in area di rigore. Al contrario, l’ex Milan grazie a Khedira e a Matuidi non ha permesso che si creassero i varchi fra le strette linee della sua difesa e quelle del centrocampo avversario, e se l’87% di possesso palla ha riassunto scientificamente l’andamento della gara, è pure vero che il restante 13% ha un valore calibrato e quasi sempre cercato. Senza la rete di Higuain difficilmente si sarebbe vista la gara che ha invece sancito il ritorno dei bianconeri a -1 dal Napoli, eppure, il deus ex machina con il volto da ex ha complicato i piani di Sarri e facilitato il compito di Allegri, che ha potuto accompagnare meglio i movimenti della sua squadra senza l’ansia asfissiata di dover per forza inseguire il gol. Anche se ai punti il Napoli avrebbe meritato almeno un gol – la qualità dei giocatori era talmente alta che in ogni caso il pareggio è stato sfiorato più volte – la Juve ha intelligentemente vinto il match clou della giornata, rendendo felice Allegri nella sua sfida filosofico-tattica con Sarri e Higuain che si è personalmente preso una rivincita sul suo passato.

Perché Allegri

Distinto e proattivo, Allegri ha raggiunto negli anni il definitivo download di competenza internazionale che inizialmente mancava all’allenatore di Livorno. Dopo le panchine rossonere, in Europa aveva di certo ben figurato con l’accesso alla finale di Berlino, anche se alla fine, similmente a Klopp, Allegri era risultato un finalista (perdente) come tanti. Invece la prova di forza contro il Bayern Monaco e la consapevolezza gestionale che ha portato la Juve a Cardiff hanno condotto a una tabula rasa di preconcetti nei confronti del toscano. Allegri è diventato un allenatore moderno, competente e soprattutto consapevole, un uomo che come i migliori non potrebbe mai permettersi un incarico in itinere. Un costruttore di successi che basa il suo lavoro su un graduale quanto programmato lavoro tout court, dalla comunicazione mediatica alla gestione dei talenti in campo. E la sintesi perfetta di quelle che sono le sue qualità si è palesata senza ombra di dubbio nella colossale opera calcistica che è stata la stagione passata della Juventus, vincitrice a mani basse di due titoli nazionali e perdente in finale contro una delle squadre più forti del post Guardiolismo di Barcellona, il Real Madrid. La maturazione calibrata e codificata di certi giovani nel corso degli anni (De Sciglio, Cristante e El Sharaawy al Milan, Rugani, Dybala e Bernardeschi alla Juve) lo definiscono una sorta di padre sportivo di molti giocatori, che sotto di lui e soprattutto grazie a lui hanno raggiunto un livello di maturità sia psicologica che tecnica di livello ragguardevole: alcuni di questi, come Dybala e El Sharaawy, sono senza dubbio professionisti di spessore internazionale.

Moduli e vestiti tattici

Una delle altre grandi capacità di Allegri è sicuramente quella di capire l’ambiente in cui si trova e rendersi conto della rosa a disposizione. L’armadio tattico di cui dispone l’ex Milan è di un’eterogeneità tale che va dalla difesa a tre al centrocampo a due. In pratica il vestito strategico scelto dal livornese si modula in base al tipo di partita da affrontare. Il credo di Allegri è semplicemente utilizzare al meglio il meglio che ha, che parallelamente si discosta in parte da allenatori come Guardiola o Mancini, che anzi pretendono per il proprio organico giocatori specifici e selezionati; Allegri sa lavorare con tutti e tenendo in considerazione tutti. Il caso di Asamoah, 28 anni e 103 presenze in bianconero, ne è una prova: il laterale ghanese è nettamente meno dinamico e devastante di quanto non lo sia il ben più elogiato Alex Sandro, eppure, l’ex Udinese è scelto da Allegri per la sua funzionalità ed efficacia in determinati casi. Insomma la costante multidirezionale delle scelte dell’allenatore bianconero seguono il dictamen dell’efficienza e dalla premura, che a volte può voler dire difendersi ostinatamente (come ieri sera) o aggredendo da subito (i quarti di finale contro il Bayern Monaco di due stagioni fa). Essenzialmente non è un caso che grandi club inglesi abituati a una gestione da factotum del proprio allenatore si siano interessati ad Allegri e al suo curriculum: Chelsea e Arsenal sono state più volte accostate al rapporto con l’ex allenatore di Milan e Cagliari, la cui carriera, al contrario di molti, ha avuto un percorso parvenuistico partendo dall’Aglianese fino ad arrivare a 50 anni ad allenare la Juventus. Anche l’età, appunto il mezzo secolo, fa capire come un professionista da poco varcata la fine della giovinezza come allenatore sia veramente pronto anche per tentare un’avventura internazionale in un palcoscenico diverso da quello juventino. Una panchina prestigiosa da cui far partire un progetto ambizioso e vincente, un ambiente in cui calma e pazienza, virtù imprescindibili per la costruzione di qualsiasi palazzo calcistico, possano permettere ad Allegri di vincere la Champions League. Un traguardo che meriterebbe e magari avrebbe pure meritato anche se alla fine parla solo e soltanto il campo: i discorsi stanno sono in conferenza stampa, il resto è solo strategia.

Mariaclaudia Catalano

Giornalista pubblicista, inviata d’assalto classe ‘89, una vita in radio e al tg, content editor per vocazione. Convertita al SEO non posso più farne a meno

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