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Chi nasce a Buenos Aires, uno spaventoso agglomerato informale e rabberciato di palazzi e bidonville che cresce sparpagliato e senz’ordine, può subire al suo interno una serie di trasformazioni senza muoversi da questa città. Soprattutto se gioca a calcio. Nell’area metropolitana della capitale argentina, infatti, sono oltre quindici le realtà calcistiche di un certo spessore nelle quali si formano una serie di giocatori con più o meno talento e proiezione, e che spesso passano da un club all’altro semplicemente prendendo un autobus urbano, o al massimo un passante ferroviario. Il caso di Emmanuel Gigliotti è uno di questi. Cresciuto calcisticamente nell’Atletico Lamadrid e passato senza gloria per l’Argentinos Juniors, l’attaccante ora all’Independiente ha iniziato a far parlare di sé all’All Boys. È uno dei club meno noti della capitale, che ha la sua sede e il suo stadio nel quartiere di Floresta, una zona periferica a sud ovest nella quale un certo Diego Armando Maradona visse durante i suoi primi anni da professionista con tutta la famiglia. Classe 1987, con un fisico da corazziere, il giovane Manu, da tutti chiamato Puma, coltivava come Maradona il desiderio di difendere un giorno la maglia del Boca Juniors, la sua squadra del cuore. Per farlo, però, occorreva sudare tanto, tantissimo.

Gigliotti, emigrante al contrario

In Argentina, sebbene i nomi siano in spagnolo, i cognomi ‘tradiscono’ in qualche modo l’origine delle persone. Gigliotti, di origini calabresi, è uno dei tantissimi (secondo le ultime stime più del 50% della popolazione) la cui famiglia scappò dall’Italia per costruirsi una vita migliore in Argentina, con tanto terreno da utilizzare e delle politiche favorevoli. Eppure, il richiamo nostalgico dell’Italia è sempre stato fortissimo, nonostante molti immigrati avessero quasi dimenticato la loro lingua madre dopo tanto tempo in Sudamerica, dove lo spagnolo ha una forte tonalità italica. E Gigliotti, trascinato da quella nostalgia, fu automaticamente spinto a cercare fortuna nel paese di origine dei suoi bisnonni, più precisamente a Novara.

Il Piemonte è terra dalla quale si spostarono in massa tante famiglie nelle navi che da Genova portavano a Buenos Aires durante la prima ondata d’immigrazione italiana in Argentina nella seconda metà del 1800. La sua figura di emigrante al contrario, comune tra i calciatori argentini di origine italiana, non lo aiutò però ad integrarsi e a farsi notare. Dopo pochi mesi e un solo gol messo a segno in sette incontri nei quali partì sempre dalla panchina, il Puma decise di tornare all’All Boys. Passò poi al San Lorenzo di Almagro, dove ancora in prestito dal Novara realizzò la sua miglior stagione dal punto di vista dei gol con 7 reti in cinque mesi.

Santa Fe viatico per la Boca

Evidentemente, però, i tempi non sono ancora maturi per la definitiva esplosione del Puma. Si vede costretto ad abbandonare la sua Buenos Aires per andare al Nord, a Santa Fe, dove il Colon ha bisogno dei suoi gol. A 500 km da casa Gigliotti inizia a vivere del gol, forse a causa di una grande fame provocata dall’abitare per la prima volta lontano da casa. I suoi 23 gol in 40 partita tra Apertura e Clausura gli spalancano le porte del ritorno a Buenos Aires, questa volta però nella Repubblica della Boca, vestendo quella maglia blu e oro che da piccolo sognava di difendere. Il giorno del suo arrivo al primo allenamento, Juan Roman Riquelme, che si accingeva a consumare le sue ultime cartucce da giocatore xeneize lo ribattezzò subito ‘Grandote’ per via della sua stazza fisica, e si rese conto di poter disporre di un terminale offensivo che convertisse in gol una buona parte dei suoi passaggi. E la relazione tra i due, in campo e fuori, fu spontanea e naturale. Fino all’estate 2014, ossia quella del passaggio di Roman dal Boca all’Argentinos, il Puma spiccò come uno dei migliori centravanti del campionato argentino. Dopo l’addio del numero 10 le sue cifre iniziarono ad essere meno importanti. Ma il destino aspettava Gigliotti con un’amara sorpresa: nella semifinale della Sudamericana 2014 il Boca ospitava l’arci rivale River in casa dopo lo 0 a 0 dell’andata al Monumental. Dopo pochi minuti i padroni di casa avevano la possibilità di portarsi in vantaggio grazie a un calcio di rigore. Lo stesso Gigliotti, che si presentò dal dischetto, si faceva ipnotizzare da Barovero, gelando così una Bombonera strapiena che vedeva la sua squadra soccombere per 1 a 0 contro gli odiatissimi ex vicini di casa. Il giorno dopo molti tifosi recriminarono il suo errore, mentre a difendere il coraggio di tirare un rigore in un momento così delicato fu lo stesso Riquelme, il più grande idolo della Boca insieme a Martin Palermo.

Dal grigiore della Cina alla rivincita in rosso

L’arrivo di un Pablo Daniel Osvaldo, respinto dall’Inter per i suoi comportamenti sopra le righe e le ottime prestazioni di Jonathan Calleri, oltre all’ostracismo di una parte dei tifosi, spinsero il Puma a cercare fortuna altrove. I trent’anni che si avvicinano e la voglia di firmare il contratto della vita lo portarono ad attraversare il Pacifico per approdare al Chongqing Lifan ed aprire la strada a Lavezzi e Tevez, tutt’oggi tra i più pagati del mondo. I tanti gol, però, non portarono alcuna felicità al centravanti. Per una questione culturale e climatica non riuscì praticamente ad ambientarsi. Ha vissuto per giocare soltanto a calcio e senza praticamente sfoghi al di fuori di partite e allenamenti. “In Cina non mi sono mai sentito un calciatore professionista. Mi sembrava di giocare in 20 contro 20” diceva poco fa l’attaccante al giornale El Clarín. E così, dopo un anno di vita praticamente in solitario, nel quale gli unici amici che aveva erano due australiani e un brasiliano, l’emigrante riceveva dalla vita la possibilità di ritorno e soprattutto di riscatto.

Dopo l’esilio in Cina, dove il sole era sempre tappato dal grigio delle nuvole, per Gigliotti si profila l’opzione Independiente, storico del calcio argentino in cerca della gloria perduta. Un uomo e un club che bramano rivincita uniti nello stesso proposito. E la rivincita che arriva, per entrambi, nella Sudamericana, l’Europa League dell’altro calcio. Un altro rigore sbagliato nella sudamericana, stavolta contro l’Alianza Lima, non riusciva però a infrangere la voglia di rivalsa di Gigliotti. Nella finale d’andata contro il Flamengo realizzava una doppietta storica davanti al proprio pubblico firmando quel 2 a 1 fondamentale per vincere quel trofeo alzato ieri notte in casa degli avversari dopo  l’1 a 1 del match di ritorno. Al Maracaná, non propriamente uno stadio qualunque. Perché il riscatto, quando arriva, non lo fa mai in modo banale.

Mariaclaudia Catalano

Giornalista pubblicista, inviata d’assalto classe ‘89, una vita in radio e al tg, content editor per vocazione. Convertita al SEO non posso più farne a meno

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