Gli uomini d’oro storia vera che il film non racconta

Gli uomini d’oro storia vera che il film non racconta

Gli uomini d’oro è un film del 2019 diretto da Vincenzo Alfieri, con Fabio De Luigi protagonista. La storia è ispirata a fatti realmente accaudit: ecco quali.

Un Fabio De Luigi come non lo avete mai visto: nn capita spesso di vedere l’attore milanese impegnato in ruoli drammatici, meno ancora che nei panni di un vero e proprio duro. È quello che succede ne Gli uomini d’oro, film noir diretto da Vincenzo Alfieri (I peggiori), in cui viene affiancato da altri due interpreti noti principalmente per ruoli comici, Edoardo Leo e Giampaolo Morelli.

Nel film, De Luigi interpreta un impiegato delle Poste che, vedendosi sfumare la pensione anticipata davanti agli occhi e detestando il proprio lavoro, decide di organizzare assieme a due complici una rapina al furgone portavalori che guida ormai da anni.

Forse non sapete, però, che la storia raccontata dalla pellicola non è del tutto frutto della fantasia degli autori: scopriamo la vera storia dietro Gli uomini d’oro!

Gli uomini d’oro: la vera storia dietro al film

L’ambientazione della pellicola è sbbastanza chiara: siamo nella Torino del 1996, come confermato anche dal fatto che il motivo per cui il protagonista Luigi non può più andare in pensione come previsto è la cosiddetta riforma Dini approvata proprio quell’anno.

E anche i fatti reali sono avvenuti proprio in quel periodo, e più precisamente nel giugno 1996. I due responsabili della rapina reale erano Domenico Cante e Giuliano Guerzoni, il cui compito era condurre un furgone portavalori, scortati dalla polizia, dal deposito di Corso Tazzoli a dieci uffici postali torinesi, fino alla consegna alla sede centrale di Via Nizza. Organizzarono il furto coinvolgendo Enrico Ughini, pensionato ed ex-dipendente delle Poste, che aveva il compito di nascondersi nel vano blindato del mezzo per sostituire le banconote con carta straccia.

La pianificazione della rapina richiese diversi mesi, e il piano prevedeva la fuga in Costa Rica tramite documenti falsi procurati da Ivan Cella, un barista della Val Susa. Il bottino ammontava a 2 miliardi e 52 milioni di lire in contanti, più 3 miliardi in assegni che però non potevano essere ritirati. Ughini, per un errore, aveva lasciato sul furgone banconote per 577 milioni di lire, che subito misero gli inquirenti sulla pista giusta.

La rapina avvenne il 23 giugno 1996, e diciassette giorni dopo un contadino rinvenne in un campo vicino Bussoleno i corpi senza vita di Guerzoni e Ughini: in breve, i carabinieri risalirono fino a Cante e Cella, e si capì che il primo aveva premeditato fin da subito di uccidere gli altri due complici.

Cante venne condannato a 28 anni e 9 mesi di carcere, ma a causa della sua salute non ottimale (aveva già subito due infarti, morì in prigione nel 2004. Cella fu invece arrestato con la fidanzata Cristina Quaglia a Tirana, in Albania, nel dicembre 1996; due mesi dopo riuscirono a evadere e fuggire in Bolivia, dove vennero nuovamente arrestati e finalmente estradati in Italia.

Che fine avevano fatto i soldi della rapina? Beh, Cella sostenne di aver investito tutto in alcune società albanesi, solo che proprio in quel periodo era scoppiato uno scandalo su delle truffe finanziarie nel Paese, e l’uomo vi era rimasto coinvolto, perdendo tutto. 50 milioni andarono a Pasquale Leccese, poi condannato a due anni, per l’organizzazione della mai avvenuta fuga in Costa Rica. 10 milioni furono consegnati da Ughini a una sua ex di Alessandria, Cinzia Bononi, e altrettanti erano stati dati da Guerzoni a una parrucchiera di Strevi, Antonina Caruso: le due donne sono state condannate per ricettazione. Il resto del bottino, però, non è mai stato trovato.

La vicenda degli “uomini d’oro”, come erano stati soprannominati all’epoca dalla stampa, non ha ispirato solo il film omonimo di cui stiamo parlando, ma già nel 2000 era uscita la pellicola Qui non è il Paradiso, diretta da Gianluca Maria Tavarelli e con protagonista Fabrizio Gifuni.

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