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Tratto dal libro Gli assassini della terra rossa, di David Grann, l’ultimo film di Martin Scorsese non è soltanto un ritrovo di grandi attori: storia, cuore e talento fusi sul grande schermo

Killers of the Flower Moon è la chiara dimostrazione di come Martin Scorsese non abbia alcuna intenzione di lasciarsi alle spalle il mondo del cinema. Un amore che continua a intrigarlo e rapirlo. Nessun programma d’addio repentino alla cinepresa, dunque, non come il collega Quentin Tarantino che sogna una vita diversa, forse, dopo il decimo film. I fan possono dirsi sereni, dunque, anche se di tanto in tanto lo stile pubblicitario del buon vecchio Martin fa storcere qualche naso. In occasione di un lancio, eccolo tornare a parlare di Marvel e simili, di cinema che non è più tale. Al netto di tutto ciò, interessante la sua doppia mossa. Da un lato proporre un film di 3 ore e 26 minuti, chiedendo per la sala lo stesso rispetto che si dimostra per il teatro. Dall’altro, invece, si iscrive a Letterboxd, nella speranza di istruire le nuove generazioni, fornendo loro le basi per apprezzare davvero la settima arte. Una sorta di professore in cattedra, dunque. Il suo Killer of the Flower Moon, però, non somiglia affatto a una lezione tediosa, fortunatamente.

Il presente attraverso il passato

Martin Scorsese non è nuovo al racconto di strade insanguinate, poste alla base della nascita degli Stati Uniti odierni, che in fondo non sono mai cambiati nel profondo. Si va però più nel cuore del Paese, quello che spesso ha gridato di dolore nel silenzio generale. Storie mai ascoltate da orecchie interessate, come quelle che negli anni ’20 in Oklahoma hanno portato a un vero e proprio massacro. È importante sottolineare quanto di vero ci sia alla base del film di Scorsese. Prendersi delle licenze poetiche in questo caso non va a inficiare la durezza della storia, reale, cruda e impossibile da dimenticare una volta ascoltata/letta/vista. Il passato per spiegare il presente, degli USA e non solo. La belva grossa e affamata che uccide, ruba e soppianta, pretendendo di non patire conseguenze, avendo soltanto seguito la propria natura. Questa tragedia aveva necessità di un racconto magistrale, che andasse a evidenziare la colpevolezza d’averla lasciata cadere nel dimenticatoio. L’immagine più della parola può fissare certe scene nella mente. Ciò che Martin Scorsese fa è un servizio alla nazione, anche se ad ascoltare realmente potrebbero essere sempre e soltanto i soliti noti. A patto che anche loro non si facciano spaventare dalla durata, nell’epoca della visione frammentata grazie allo streaming.

Killers of the Flower Moon: trama e cast

Da quando l’uomo bianco ha messo piede in America, al tempo in cui non era questo il suo nome, per la prima volta la fortuna arride alla nazione Osage. I nativi americani di lingua siouan si ritrovano finalmente a vedere quel forzoso dislocamento in Oklahoma come qualcosa di positivo. Dal terreno zampilla il petrolio e, nella visione commerciale dei bianchi, ciò vuol dire essere ricchi, anzi ricchissimi. Una nuova vita per l’intera nazione e magari un nuovo equilibrio sociale. Qualcosa di impossibile da permettere per i bianchi, che si rendono rapidamente conto di quanto stia accadendo, decidendo così di intervenire. Come detto, si tratta di animali che seguono il proprio istinto prevaricatore, certi del fatto di poter fare delle prede ciò che desiderano. Non è nient’altro che rispetto della catena alimentare, per loro. I beni degli Osage vengono estorti con l’inganno e la violenza, fino ad arrivare all’omicidio. Il governo vuole bianchi a gestire le ricchezze e così sposare le donne del posto e tragicamente vederle morire non sembra un’idea così malsana. Di colpo, però, un fascio di luce piomba su questa vicenda.

La giustizia trova spazio, poco, anche in Oklahoma. È la nascente FBI a tentare di fare chiarezza ma anche i distintivi possono essere facilmente macchiati di sangue. A giungere in città è il ranger Tom White, interpretato da un ottimo Jesse Plemons, che fin dal post Breaking Bad è riuscito a non sbagliare un solo colpo in carriera. L’incarico ricade sulle sue spalle, di colpo affiancato da Ernest Burkhart, ovvero Leonardo DiCaprio, che ritrova Martin Scorsese per la sesta volta in carriera, dopo Gangs of New York, The Aviator, The Departed, Shutter Island e The Wolf of Wall Street. Lui è un giovane reduce della Grande Guerra, ma soprattutto è il marito dell’indiana Mollie, interpretata da Lily Gladstone. In rappresentanza dell’avidità e sete di sangue dei bianchi, invece, uno spietato e freddo William Hale, nient’altri che Robert De Niro.

Killers of the Flower Moon: recensione

Un uomo bianco giunge in città, assetato di giustizia. Sgomina una banda di altri bianchi, diffondendo una nuova sensibilità, forzandola a suon di proiettili e manette, fino a salvare i nativi americani, o ciò che nel territorio ne restava. Ecco una possibile visione di Killers of the Flower Moon, che Martin Scorsese ha prontamente rifiutato. Nessun salvatore qui, nessuna replica alla polemica Green Book, per intenderci. Il premio Oscar, dall’alto del suo enorme talento, decide di rovesciare la prospettiva. Lo sguardo che osserva quanto accade è quello dei nativi, di chi su questa terra ha già versato troppo sangue e non intende continuare a farlo. Più che White, a battersi è un reduce della Grande Guerra senza nulla da offrire. Non ha doti, anzi, una ferita lo ha reso incapace di svolgere lavori pesanti. Non è di certo un investigatore, un’abile mente, ma conosce l’animo umano perché ne ha visto numerose sfaccettature al fronte. La prospettiva non è però ribaltata soltanto in questo. Si va a caccia di giustizia anche sotto altri aspetti, e così i balordi bianchi diventano protagonisti di siparietti comici. Il tutto in un’epopea degna d’essere vissuta a pieno al cinema, su uno schermo adeguato e soprattutto in una sala immersiva, che possa cancellare per 3 ore e 26 minuti, che scorrono via sorprendentemente rapide, il mondo che c’è fuori. Una pellicola che travolge lo spettatore, che deve soltanto ricordare di star affidando il proprio tempo a un maestro. Abbiate fede, Martin sa quello che fa e ciò che confeziona è un mix di western e noir che farà scuola.

Luca Incoronato

Giornalista pubblicista, orgoglioso classe '89. Mai avuto alternative alla scrittura, dalle poesie d'amore su commissione in terza elementare al copywriting. Appassionato di cinema e serie TV, pare io sia riuscito a farne un lavoro