Skip to main content

L’esordio alla regia di Paola Cortellesi, anche attrice protagonista e co-sceneggiatrice, è una piacevole sorpresa in bianco e nero, posta sulla scia di Greta Gerwig

Paola Cortellesi fa il suo esordio con il film C’è ancora domani e convince a dir poco. Tanto cuore in questa pellicola, il cui bianco e nero è una carezza allo spettatore, posto dinanzi a grande sofferenza. Al tempo stesso, però, il film sa mostrarsi solido e ben poggiato su basi stabili. È un film da vedere e che lascia sperare in nuovi progetti, simili o dissimili, da parte della celebre attrice. Pellicole che senta proprie fin nelle viscere, così che quell’emozione possa trapelare dalla cinepresa, raggiungendo le poltrone in sala, come accaduto con C’è ancora domani. Paola Cortellesi è impegnata mente e cuore in questo titolo, essendone regista, attrice e co-sceneggiatrice. Ci porta indietro fino al secondo Dopoguerra, che ha gettato di fatto le basi del nostro equilibrio sociale moderno. Si concentra sull’autodeterminazione femminile e mescola abilmente passato e visioni presenti, seguendo in parte la scia di Piccole donne di Greta Gerwig, tanto per fare un esempio celebre e recente. Un’opera prima che merita, senza essere una meravigliosa perla.

C’è ancora domani: film Paola Cortellesi trama e cast

C’è ancora domani segna l’esordio alla regia di Paola Cortellesi, come detto. Una pellicola che conduce lo spettatore nella fase postuma della Seconda Guerra Mondiale. Siamo nella Roma degli anni ’40 e la protagonista è Delia. In un piacevole e delicato bianco e nero, il personaggio interpretato da Paola Cortellesi è una donna come tante, madre di tre figli avuti con suo marito Ivano, interpretato da Valerio Mastandrea. Schiava dei suoi ruoli, appena due, non è libera di essere, di vivere e sognare. Dev’essere madre e moglie, necessariamente. Sono gli altri a definirla, chi l’ha portata all’altare e ora la guida e controlla, come un padre e un proprietario, e chi è frutto del suo stesso corpo (figli che si trasformano anche in catene ben strette a una vita predeterminata).

Roma si mostra spaccata a metà. Se da una parte c’è la spinta verso il domani, dettata dalla Liberazione, dall’altra chi boccheggia, affanna e si affama a causa della miseria che la guerra ha lasciato in questo Paese. Ivano è un lavoratore, di quelli che scambia la propria salute fisica e mentale per qualche soldo da portare a casa. Oltre l’uscio però trascina anche un profondo malessere, che esorcizza esercitando il dominio che viene a mancargli all’esterno, su moglie e figli sotto scacco. Non ha rispetto per sua moglie che, in quanto tale, in fondo non rappresenta minimamente per lui un essere meritevole d’attenzioni di questo tipo. Si rispetta chi è da esempio, ovvero gli altri uomini, e in questo caso suo padre, Sor Ottorino, interpretato da Giorgio Colangeli. Questi rappresenta un’estensione del figlio, dal momento che Delia è chiamata a occuparsene come una badante, soffrendo la sua ira e i suoi modi da tiranno.

Se un uomo rispetta un proprio simile, una donna, in questo mondo in bianco e nero e privo di fuga, trova riparo, comprensione e sollievo soltanto in un’altra donna, o femmina agli occhi dei maschi. Si tratta dell’amica Marisa, che ha il volto e il talento di Emanuela Fanelli. Le sue orecchie sono le uniche che possono acoltare confidenze altrimenti celate. In questi scambi si nasconde la leggerezza di cui Delia è ancora capace, nonostante le privazioni quotidiane. La famiglia ci viene poi mostrata di colpo in fermento, perché il fidanzamento ufficiale della primogenita Marcella, ovvero Romana Maggiora Vergano, è imminente. La ruota continua a girare, nella speranza che suo marito sia compagno e non padre, che la modernità giunta anche nei rapporti umani, finalmente. Lei sogna di andar via con Giulio, Francesco Centorame, godendo del suo ceto borghese e mettendo distanza tra sé e l’imbarazzo della sua famiglia d’origine. Anche Delia sogna tutto ciò per lei. La preferisce distante ma felice. Accetta anche questa sofferenza, quella di separarsi dalla prole, come tante nella sua esistenza. Tutto cambia, però, con l’arrivo di una misteriosa lettera. Parole che le instillano un coraggio insperato. Un futuro è lì, ancora vivo, anche per lei. Nonostante tutto c’è ancora un domani in cui poter essere non madre, non moglie, ma donna.

Essere donna ieri, oggi e sempre

È un film che merita applausi, a tratti, perché crede in ciò che mostra. Si respira la voglia di trasmettere qualcosa e non di completare un lavoro. Nello stato in cui versa il cinema italiano, sempre più scarno di idee, imprenditori disposti a investire e pubblico aperto a una visione non superficiale, è qualcosa di cui andar fieri. C’è ancora domani sa muoversi bene tra drammatico, tragico e comico. Si poggia su basi solide del neorealismo, senza però riuscire a toccare vette in nessun caso. Una pellicola che ha qualcosa da dire, e decide di farlo anche con una messa in scena coinvolgente. I colpi di Ivano come coreografia sulle note di Nessuno, ad esempio, sono qualcosa che resta addosso allo spettatore. Quei lividi che appaiono e svaniscono, sanno per assurdo lasciare il segno. Ciò che viene a mancare è una maggior stabilità di scrittura. Il film funziona ma vive dei cali sorprendenti, per quella che è la media delle scene proposte. Si vive di picchi e sequenze ben costruite, in alternanza a qualcosa che pare giustapposto, se paragonato ad altro girato. Non a caso è un’opera prima e, nonostante tutto, lascia in noi spettatori la voglia di averne ancora.

Luca Incoronato

Giornalista pubblicista, orgoglioso classe '89. Mai avuto alternative alla scrittura, dalle poesie d'amore su commissione in terza elementare al copywriting. Appassionato di cinema e serie TV, pare io sia riuscito a farne un lavoro