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cerci

Inutile accanirsi contro il destino, ognuno ha la sua strada, la sua dimensione, il suo mondo. Quello di Alessio Cerci, talento cristallino e fama da predestinato sin da giovanissimo, sembra essere legato a doppio filo più a club dalla grande storia e tradizione in cerca di nuova gloria che a quelli da considerarsi top, almeno sulla carta.

Inutile chiedersi il perché, a 28 anni è già tempo di bilanci nella carriera di un calciatore ancora relativamente giovane, che ha probabilmente capito e accettato i limiti di personalità emersi nella vana ricerca del salto di qualità definitivo, fallito nelle esperienze all’Atletico Madrid e al Milan. Forgiato e trasformato da Giampiero Ventura sin dai tempi di Pisa da ala pura in formidabile terminale offensivo (indimenticabile il campionato di due anni con il Torino da seconda punta al fianco di Immobile concluso con 13 gol e 12 assist), sembrava essersi perso nell’ultimo anno e mezzo, vissuto sulle montagne russe. Prima lo scarso feeling con Simeone, certificato dai pochi spezzoni nella Liga figli di un atteggiamento negli allenamenti in perfetto stile Balotelli, poi i sei mesi vissuti al Milan con Pippo Inzaghi, dove era arrivato da salvatore della patria finendo ben presto nel dimenticatoio complice anche un infortunio muscolare. Abbastanza per mettere un punto e andare a capo, magari rimettendo tutto in discussione, anche i propositi di successo sognati fino a qualche tempo prima quando era giusto tentare di alzare l’asticella.

La maturità di una calciatore si misura tuttavia anche dal grado di consapevolezza che questi assume nei confronti della sua natura, del suo modo di essere, di porsi e di affrontare nuove sfide, nella capacità di calarsi in determinate realtà e non soltanto da quanto espresso in campo, diretta conseguenza di tutto il resto. Alessio Cerci l’ha capito tardi (“La scelta di andare al Milan è stata sbagliata. Potevo andare avanti con l’Atletico e cercare di soffrire e lottare un po’ di più”) ma ha deciso di non guardarsi più indietro e provare a riconquistare la fiducia di chi l’aveva visto capace di mirabilie e sprint degne di un giocatore vero, lontano anni luce dal bluff più volte maledetto dai tifosi rossoneri. “Il gioco offensivo di Gasperini si adatta alle mie caratteristiche. – disse al suo arrivo a Genova- Ventura ha saputo trovare la chiave per farmi diventare il giocatore che sono, spero accada lo stesso anche qui”. Detto, fatto. In rossoblù ha ritrovato voglia e consapevolezza nei propri mezzi, sentendosi di nuovo importante e valorizzato (parole sue) per quelle che sono le sue caratteristiche. Una volta ritrovata la forma fisica, essersi messo al passo con i nuovi compagni e aver metabolizzato i metodi di lavoro del Gasp, Cerci è tornato lo spacca difese di Torino, come certificato nell’ultima gara di campionato in cui ha contribuito quasi da solo a ribaltare l’Udinese, primo per tiri in porta e occasioni create (3), così come per palle perse (7).

Di nuovo vivo e nel vivo di un gioco che sembra cucito apposta per lui, esterno alto schierato a destra per sfruttare il micidiale tiro a giro di sinistro, caratteristica condivisa con un certo Arjen Robben che a qualcuno ricordò proprio Cerci in un paragone di qualche anno diventato col tempo un cult virale, soprattutto sul web. Ma mentre l’olandese continua a far prodezze in Champions League, il destino del ragazzo di Valmontone resta quello di esaltare tifoserie caldissime pronte a eleggerlo a loro personale idolo.

 

Mariaclaudia Catalano

Giornalista pubblicista, inviata d’assalto classe ‘89, una vita in radio e al tg, content editor per vocazione. Convertita al SEO non posso più farne a meno

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