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Blas Perez Panama – La carriera dell’eroe del piccolo stato dell’America Centrale

È una calda serata del 2006, nel ristorante “Los Corrales” la temperatura è più alta del normale. A riscaldare l’ambiente ci pensa un nutrito gruppo di panamegni, capitanati da un tassista. Non sono lì solo per la “tajada”, il platano fritto imprescindibile nel menù di qualunque ristorante tipico colombiano come “Los Corrales”. Sono venuti per assistere alla partita decisiva per la vittoria del campionato tra il Tolima e il Cúcuta Deportivo.
Il Cùcuta è la Cenerentola di quel torneo e si appresta a vincere il primo titolo nazionale dopo una storia anonima, fatta di campionati vinti ma non riconosciuti e di tanto oblio. Vince il Cúcuta, segna, ancora una volta, quell’attaccante da Panama che è il motivo per cui tanti abitanti dello stato dello stretto sono lì a tifare i rossoneri. Il tassista fa per andarsene.

Il distretto di San Miguelito

Un uomo, presumibilmente il proprietario del ristorante, prende il microfono e annuncia alla platea che il signore è il padre dell’eroe della serata: l’attaccante Blas Perez. Quella notte il signor Perez non potrà più tornare al suo taxi, la festa si protrarrà fino al mattino successivo. D’altronde se il più forte attaccante nato in quella lingua di terra gioca a calcio è anche merito suo. Il tassista avrebbe voluto vedere dal vivo quella partita che ha rappresentato il picco della carriera calcistica di suo figlio ma lui, che è senza dubbio il suo primo tifoso, non avrebbe probabilmente retto l’emozione. Soprattutto soldi da sprecare non ce ne sono. Non ce ne sono mai stati. Il distretto di San Miguelito è uno dei più pericolosi distretti del Paese. Creato solo nel 1960, per far fronte all’aumento della popolazione nella capitale, divenne meta di immigrati dalle vicine zone di Los Santos (che già dal nome ricorda una città di tanti GTA) e dell’Isla de San Miguel. Per divertirsi i bambini calciano tutto quello che si può, anche se non si tratta propriamente di un pallone. A cinque anni Blas Perez già fa disperare sua madre perché a forza di dare calci e correre le scarpe si consumano e l’acquisto di un nuovo paio ogni mese non rientrava tra le spese giustificabili.

Da Dely Valdes a Blas Perez

Rispetto al baseball, lo sport più in voga della nazione, il calcio è però decisamente più economico in termini di attrezzature, ragion per cui il padre convince il pargolo, non senza fatica, a rinunciare a mazza e guantoni per il pallone. Gli idoli autoctoni non sono tantissimi: la leggenda porta il nome di Rommel Fernandez, poi precocemente scomparso per un incidente stradale nel 1993, con una carriera interamente spesa in Spagna tra Albacete, Valencia e Tenerife (che custodisce all’interno del suo stadio un tributo all’attaccante). L’alternativa si chiama Julio Cesar Dely Valdes, per tutti semplicemente il più grande atleta panamegno del ventesimo secolo. Attaccante giramondo e abbastanza prolifico negli anni novanta. Passò anche per Cagliari e dimostrò di poter giocare ad alti livelli segnando anche una tripletta alla malcapitata Reggiana. Successivamente passò al PSG e sotto la Torre Eiffel ne fecero il faro di un attacco che annoverava anche gente come Leonardo e Raì.

Superare i confini colombiani

Deciso lo sport, non senza rinunciare a provare anche basket e volley, ci sarebbero però decisioni un po’ più importanti da affrontare, come la scelta di un lavoro “vero” per portare a casa il pane. A quindici anni Blas Perez, il miglior goleador numeri alla mano della storia di Panama, lava le auto con una pompa in un autolavaggio per aiutare la sua famiglia. L’aiuto economico più sostanziale lo darà però solo dopo, quando inizierà il suo giro delle sette chiese che lo porterà a calcare i campi di Colombia e Uruguay. Nel 2007 la favola del Cúcuta esce dai confini colombiani e diventa di dominio pubblico in tutto il Sudamerica. Guidati dal “Super Ràton” Perez, la squadra della Colombia orientale arriva a vincere una semifinale d’andata della Libertadores contro il Boca, salvo poi venire ridimensionata nella gara di ritorno dall’ “effetto Bombonera” che non risparmia nessuno. Perez ha comunque già fatto il suo jackpot. Neanche il tempo di rendersi conto di essere il secondo cannoniere della manifestazione (dietro lo sfortunato Cabanas) e già arriva l’offerta irrinunciabile dalla Spagna.

L’arrivo in Europa e il passaggio in Messico

La scelta è singolare: Blas Perez decide di sposare il progetto ambizioso dell’Hercules che ha appena completato il restyling di uno stadio di proprietà (al livello di quelli che si vedono in Premier) e punta a Blas per riempirlo. Le cose vanno benino ma non abbastanza, il ragazzo non ha l’appeal giusto per un club che, qualche anno dopo, punterà le figurine di gente come Drenthe e Trezeguet. Dopo l’avventura europea prova a ritrovarsi in Messico ma le cose vanno male: cambia tante squadre e l’unica evoluzione sensibile che subisce la sua vita professionale è nel soprannome; da “Super Ràton” si passa ad un più consono e virile “El Toro”. La maniera di festeggiare è quella di Ferrante ma nell’imitarla non c’è alcun segno di scherno nei confronti di nessuna curva, essendo Maresca e Perez distanti troppi chilometri per conoscersi anche solo per il nome. Il gesto delle corna gli viene suggerito, ancora una volta, dal padre che sulla “cancha” aveva avuto quel soprannome prima di farlo ereditare al figlio. Nel 2012 sembrano esserci tutti i presupposti per considerare la parabola sportiva di Perez nella sua fase discendente. L’età è ormai abbastanza avanzata per guardare all’approdo negli Stati Uniti come a un buen retiro dorato. La squadra, Dallas, non è nell’elite della lega. In più, a metà stagione, l’attaccante perde nel giro di poco il suo migliore amico e suo padre. Quest’ultimo, come avrete capito dallo spazio dedicatogli nell’affresco di questa storia umana, è stata forse la persona che ha avuto più peso nella sua vita.

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Il riscatto di Blas Perez

Il riscatto arriva con la maglia di quella nazione la cui bandiera fa bella mostra sul braccio di Perez. I risultati in Gold Cup porteranno all’invito della selezione panamense alla Copa America Centenario, la cosa più simile a un Mondiale che Panama abbia mai vissuto. In una notte italiana di inizio giugno, quando il cronometro ricordava che alla fine di Bolivia-Panama mancavano quattro minuti, Perez ha segnato un gol semplice, un calcio uguale a quelli che avevano distrutto tante scarpe a San Miguelito. Quel gol sancisce la prima vittoria in Copa America nella storia di Panama. Non ha avuto tempo Perez per fare le corna. Ha semplicemente corso, con il volto bagnato da gocce di lacrime e sudore che si mischiavano, prima che l’abbraccio di tutti lo soffocasse. Gli statunitensi neutrali guardavano, un misto tra lo stupore e la noia. Qualcuno in quei momenti ha giurato di aver sentito il rumore del clacson di un taxi, suonato spasmodicamente per festeggiare la vittoria. Forse era solo il rumore di una vuvuzela avanzata dai Mondiali sudafricani o semplicemente il suono della felicità.

di Manuel Santangelo

Mariaclaudia Catalano

Giornalista pubblicista, inviata d’assalto classe ‘89, una vita in radio e al tg, content editor per vocazione. Convertita al SEO non posso più farne a meno

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