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La recensione di Comandante, film di Edoardo De Angelis con Pierfrancesco Favino: quanta umanità negli angusti spazi di un sommergibile

Comandante di Edoardo De Angelis ci conduce in un’epoca buia, di guerra e idee raccapriccianti, fasciste e naziste. L’Italia, internamente corrosa e spaccata, non era dalla parte giusta della storia, se non nelle ultime battute. In questa nebbia fitta, però, l’umanità ha saputo trovare la via. Svariati gli episodi, celebri o meni, che vengono tramandati con orgoglio. Tra questi meritava d’essere posto in risalto quello che vede come assoluto protagonista Salvatore Todaro, che qui ha il volto e la voce di Pierfrancesco Favino. La sua interpretazione ha commosso anche la figlia del compianto comandante, che ha ora in mente due voci connesse allo stesso uomo. Ciò che Edoardo De Angelis confeziona è un vero e proprio kolossal italiano, il che è tutt’altro che scontato. Un’opera che sa conquistare il pubblico con il suo ritmo, ancor prima che con la sua rilevanza storica. Chi segue gli ordini in maniera cieca, è sempre condannato dalla storia. Chi rispetta la legge umana, che in questo caso coincide con quella del mare, potrà partire all’istante ma avrà l’eternità in attesa di omaggiarlo: “Noi affondiamo il ferro al nemico senza pietà, ma l’uomo lo salviamo”.

Comandante: trama e cast

Comandante è ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale, a bordo del sommergibile Cappellini, comandato da Salvatore Todaro, interpretato da un ispiratissimo Pierfrancesco Favino. Quest’ultimo applica metodi poco in linea con quelli della Regia Marina del tempo. Il suo modo di andare alla guerra rispecchia il tipo di uomo che è ed è sempre stato. La sua prua è rinforzata in acciaio e non intende sparare colpi di cannone celati dall’acqua. Preferisce emergere e fronteggiare il nemico faccia a faccia, cedendo il proprio vantaggio strategico, all’occorrenza. Il suo equipaggio dev’essere sempre pronto a qualunque eventualità, e così ogni membro è armato di pugnale, perché in uno scontro corpo a corpo non debbano mai sentirsi sottomessi. Nel cast spazio a: Massimiliano Rossi (Vittorio Marcon), Giorgio Cantarini (Vezio Schiassi), Giuseppe Brunetti (Gigino Magnifico), Luca Chikovani (Leonardo Barletta) e altri.

Nell’ottobre 1940, il Cappellini naviga nell’Atlantico nel cuore della notte, ignaro del fatto che il destino sia lì ad attenderlo in quelle gelide acque. Un mercantile belga, il Kabalo, inizia a bombardarlo. Viaggia a luci spente ma Todaro riesce ad avere la meglio. Il contraccatto è efficace e tutti gli uomini del mercantile finiscono in mare. In quella notte fredda, il Comandante deve prendere una decisione. Lasciare quegli esseri umani equivale ad ammazzarli codardamente, quando inermi e incapaci di difendersi. Il suo è un gesto d’umana comprensione, che soltanto oggi definiamo eroico. Dentro di sé sapeva di non avere scelta e soccorre 26 soldati belgi. Ciò lo costringe a navigare in emersione, rischiando d’essere avvistato dal nemico. Pronto a essere il solo responsabile a pagare dinanzi al regime fascista, risponde così al capitano del Kabalo, che gli chiese perché mai avesse rischiato tanto per il nemico: “Perché noi siamo italiani”.

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La legge del mare

Comandante offre una storia d’umanità, un esempio che ciclicamente si ripete, perché l’animo è in grado di andare ben oltre quelle che sono le meschine regole terrestri. La pellicola ha così inizio con uno sguardo alla contemporaneità. Appare sul grande schermo una citazione. Parole pronunciate da un membro dell’equipaggio del trimarano russo Russian Ocean Way, che nel 2023, a marzo scorso, è stato salvato da una nave ucraina nelle acque del Pacifico. La guerra non maschera il volto degli altri al fronte. Sono esseri umani come noi, e dinanzi alla possibilità di salvare una vita, inerme e in balia di un destino crudele e certo, non intervenire equivale a condannarsi con le proprie mani: “In mare, siamo tutti alla stessa distanza da Dio, a distanza di un braccio. Quello che ti salva”.

Ciò che subito colpisce di Comandante è la sua resa estetica. Un film italiano che mostra come certe pellicole andrebbero girate. Un totale di 15 milioni di budget fatti fruttare alla perfezione, approfittando di uno scafo in acciaio lungo 73 metri ricreato affinché fosse copia quasi identica del Cappellini. Ogni dettaglio è stato restituito, per un lavoro certosino nato da ben 150 tavole da disegno. La matematica è tutta dalla parte di questa pellicola, che ha numeri, resa estetica e tanto cuore. Ciò che viene restituito è ha dell’incredibile, perché riesce a tenersi a distanza di sicurezza dalla resa retorica. Pierfrancesco Favino restituisce un uomo, con tutte le sue sfaccettature. Non un personaggio bidimensionale, incastrato negli argini della sceneggiatura offertagli, bensì un uomo vero. Ciò si esplica anche attraverso delle necessarie contraddizioni. Si agisce in base al cuore, a volte, così come secondo il proprio senso di dovere. Non è un pacifista, lui combatte e guida i suoi uomini all’abbattimento del nemico. Quando però questi è battuto e inerme, allora è uomo, soltanto un uomo, spoglio della divisa, anche se la indossa ancora: “Qui non siamo in guerra, siamo in mare”. Non è un eroe teatrale, sempre retto e fiero, e non è di certo un idiota che rischia la propria vita e quella dei suoi in maniera leggera. Una pellicola che, in uno spazio così angusto, sa trovare inoltre il modo di ampliare lo sguardo. Salvatore Todaro è assoluto protagonista ma è fiancheggiato da uomini. A loro si rivolge la macchina da presa, sfruttando il cibo come simbolo di speranza di un domani migliore, di una felicità che in quei giorni sembrava soltanto una favoletta per bambini. Un giorno saremo salvi, un giorno saremo privi di armi e rancori. Un giorno, forse, saremo tutti alla stessa tavola, dimentichi che un tempo ci furono schieramenti, fronti e morti vane.

Luca Incoronato

Giornalista pubblicista, orgoglioso classe '89. Mai avuto alternative alla scrittura, dalle poesie d'amore su commissione in terza elementare al copywriting. Appassionato di cinema e serie TV, pare io sia riuscito a farne un lavoro