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Classe infinita, leadership innata, il rispetto di avversari e compagni. Esteban Cambiasso nel corso della sua carriera è stato capace di dimostrare le sue straordinarie qualità umane, prima che tecniche, e imporle agli occhi di quanti in Italia non lo hanno mai dimenticato (e chissà se lo faranno mai). Di questi tempi, un anno fa, si vociferava già di quanto il suo addio ai colori nerazzurri fosse ormai alle porte; con l’avvento della nuova proprietà e del nuovo corso, non c’era più spazio per lui e per gli altri senatori storici (Zanetti, Samuel, Milito) all’interno dello spogliatoio interista. Un addio triste, sbattuto in faccia senza alcuna forma di rispetto a uno dei simboli dei tanti successi degli ultimi anni; la gara con il Chievo è stata, per tutti, quella delle lacrime. “Avrei meritato di sapere che il contratto non sarebbe stato rinnovato non dico 3-4 mesi prima, ma almeno non a ridosso dell’ultima partita di campionato”, dirà lo stesso Cambiasso qualche mese dopo aver salutato Appiano Gentile; parole al veleno verso un club che gli aveva dato tutto, venendo ricambiato in maniera esemplare.

Troppo forte la voglia di chiudere definitivamente un ciclo irripetibile, cambiare pagina e dar vita alla nuova Inter, quella dell’era di Erik Thohir, in cui non ci sarebbe stato più spazio per uno come lui; l’unico tra i grandi vecchi, ancora integro fisicamente, capace di garantire ancora qualche anno a buoni livelli. Una rinuncia programmata e voluta, con la benedizione di Walter Mazzarri, che qualcuno vocifera, abbia sempre mal sopportato la presenza di calciatori “influenti” alla Cambiasso; lui, il Cuchu, leader indiscusso in campo e fuori, poteva certamente rappresentare l’uomo forte attorno al quale plasmare l’Inter del futuro. Alla luce dei risultati ottenuti dai nerazzurri in questa stagione tribolata, quanto ha effettivamente pesato la scelta di non rinnovargli il contratto? Tanto, se è vero che a pagare in prima persona, è stato proprio il tecnico toscano, incapace di condurre il club in questa nuova e delicata fase di transizione e di tenere unito un gruppo di ottimi giocatori, privi però della personalità necessaria per sopportare la pressione che giocare in una squadra come l’Inter comporta. Così come quella di molti calciatori argentini (da Mascherano, allo stesso Messi) la leadership di Esteban Cambiasso è ormai cosa ben nota, qualità che l’ha portato sul tetto del mondo, ma anche a scontrarsi con tanti dei suoi allenatori, da Maradona che lo escluse dal mondiale sudafricano, allo stesso Mazzarri; allenatore in campo, da sempre, da quando arrivò nell’estate del 2004 a Milano, dopo una delle migliori operazioni di mercato condotte da Marco Branca (acquistato a parametro zero dal Real Madrid).

Sembrava pronto, una volta appese le scarpette al chiodo, a diventare il nuovo allenatore dell’Inter ma tutto è svanito la scorsa estate; per la nuova dirigenza bastava così, per lui affatto. La voglia di giocare ancora era ancora troppo forte per dire basta, “il vecchio” voleva un’ultima sfida per dimostrare di essere tutt’altro che finito; dopo un’estate travagliata, è ripartita dal Leicester, neo promosso in Premier League, matricola senza stelle, chiamata all’impresa di conquistare una difficile salvezza. Una partenza complicata, nonostante il rocambolesco successo ai danni del Manchester United di Van Gaal, che ha ben presto relegato la squadra che fu per qualche tempo anche di Roberto Mancini nei bassifondi della classifica; un destino che sembrava segnato, fino alle ultime tre vittorie consecutive, che hanno rimesso in corsa il Cuchu e compagni. Troppo lento per un calcio veloce e moderno come quello inglese, si diceva, eppure l’impatto di Cambiasso con la Premier è stato davvero ottimo: 25 presenze e 4 reti all’attivo, sempre lì in mezzo al campo, a interrompere le trame di gioco avversarie e dettare i ritmi della manovra, senza disdegnare qualche proficua sortita offensiva, come ha sempre fatto in Italia. “C’erano diversi dubbi su quanto fosse capace di adattarsi alla Premier League, ma è stato fantastico. Avrebbe vinto il premio come il miglior vecchio giocatore della stagione se fosse esistito. Ha dato tranquillità alla squadra e ai giocatori più giovani. Non è solo un leader in campo, ma lo è anche tantissimo fuori“. Parole del suo attuale tecnico, Kevin Phillips, quasi profetiche di ciò che avrebbe potuto rappresentare nell’Inter attuale, piena di tanti giovani ancora in cerca d’identità.

Lui, il calciatore argentino ad aver conquistato più titoli in assoluto (24, uno in più del grande Alfredo Di Stefano), non vuole mollare ed è pronto a conquistare l’ennesimo trofeo della sua carriera: non una coppa o uno scudetto, ma un’altrettanto storica salvezza, quella del suo Leicester impegnato sabato prossimo sul campo del Burnley, ultimo in classifica. Una sfida da vincere, certamente da non perdere, 90′ di fuoco in cui uno Cambiasso certamente saprà esaltarsi, come sempre.

Mariaclaudia Catalano

Giornalista pubblicista, inviata d’assalto classe ‘89, una vita in radio e al tg, content editor per vocazione. Convertita al SEO non posso più farne a meno

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