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Una delle caratteristiche possedute dalla maggior parte dei calciatori moderni è quella di sapersi “riciclare” nel corso del tempo – magari anche cambiando ruolo – al fine di avere una carriera più lunga rispetto al passato. Non è un caso che si vedano sempre più spesso certi giocatori arrivare alla soglia dei 40 anni, se non addirittura superarla: in tal senso gli esempi di Buffon e Totti sono notissimi, ma basterebbe pensare a tanti altri colleghi per rendersi conto di come questa tendenza sia ormai oltremodo sviluppata. Anche a causa di questo particolare cambiamento storico la carriera di Bruno Nicolè assume un’importanza capitale: venerato in adolescenza e ritiratosi giovanissimo, l’ex calciatore ha trovato persino il tempo di imporre nella storia il suo nome a suon di record che ancora oggi restano incredibilmente intatti. È lui il protagonista di Stelle Cadenti

Una carriera velocissima, piena di primati ma anche delusioni: la storia di Bruno Nicolè

Quel ragazzino così bravo nel tiro e negli scatti in velocità aveva già le stigmate del predestinato. D’altronde se esordisci in Serie A ad appena 16 anni con un allenatore come Nereo Rocco non puoi che essere considerato almeno bravino. “Nereo Rocco allenava la prima squadra del Padova, quella dei famosi manzi che conquisterà un terzo posto. Capitava che verso sera passasse da via Castelfidardo. La prima volta che me lo son visto davanti sulla porta della latteria, accompagnato dall’oste Cavalca, manca poco che svengo. Venire in visita credo fosse un modo per farmi sentire il suo affetto. Umanamente, nel calcio come Rocco non ho trovato nessuno, ancora oggi mi sento coi suoi figli”, spiegò lo stesso Nicolè in un’intervista concessa a Gianni Mura per La Repubblica

L’esordio in campionato fu un momento indimenticabile per lui: 3-2 contro l’Inter, con una grande partita disputata. Nicolè gioca una prima stagione da veterano: Rocco crede molto in lui e il ragazzino lo ripagherà con buone prestazioni e due gol, tra cui uno segnato alla Juventus. Lo stesso club bianconero aveva messo immediatamente gli occhi addosso a questo piccolo fenomeno del calcio italiano, che fino a 2 anni prima giocava in un campetto dell’oratorio della Sacra Famiglia. Umberto Agnelli pare disposto a fare follie per lui e in effetti è proprio così che andrà a finire: ad appena 17 anni Nicolè si trasferisce alla Juventus per una cifra clamorosa. Sarà infatti pagato 70 milioni più il prestito di Hamrin.

Gli anni d’oro

Bruno Nicolè con Boniperti, Cesarini e Charles – FOTO: Wikipedia

Nicolè si trova dunque a confrontarsi con una Juventus desiderosa di rilanciarsi e con tantissimi campioni in squadra, come Sivori, Boniperti e Charles. Per un ragazzino sarebbe impossibile credere di trovare posto in attacco con una tale concorrenza. E difatti, soprattutto nella prima stagione, Nicolè fa una fatica tremenda ad imporsi. Tutto è diverso rispetto all’ambiente “familiare” che lo aveva visto precedentemente protagonista. Il giovane calciatore ha una sola possibilità per giocare comunque titolare senza togliere il posto a questi titani del calcio: cambiare ruolo e allontanarsi dalla porta. Viene così schierato dal tecnico Cesarini come ala e il prezzo da pagare è molto chiaro: nonostante 21 presenze non arrivano reti. “Non sono mai stato un’ala ma una punta centrale. Dovevo adattarmi e stare zitto, com’era giusto, perché al centro c’erano due mostri sacri come Sivori e Charles, con Boniperti a centrocampo”, rivela.

Nella seconda stagione, però, le cose sembrano finalmente trovare una piega giusta. Sbloccatosi contro il Napoli, mantenne una media realizzativa di tutto rispetto. E la convocazione in Nazionale fu inevitabile: nel 1958 il C.T. Gipo Viani lo chiamò per giocare un’amichevole contro la Francia. Nicolè non immaginava nemmeno che quella partita potesse essere la sua più grande soddisfazione in carriera: “Feci due gol: il primo su angolo battuto da Bean, testa di Galli, il portiere Colonna respinge corto e io la butto entro, sempre di testa. Il secondo: Segato mi passa la palla, prolungo sulla sinistra per Bean che me la ridà sul lato corto dell’area. Appena dentro, destro incrociato, molto forte. Sul 2-1 ho anche preso un palo, forse sarebbe stato il gol più bello”. Così, alla tenera età di 18 anni e 258, Nicolè raggiunge già la definitiva consacrazione stabilendo un record entrato ormai nella leggenda: è il più giovane calciatore italiano ad aver mai segnato un gol con la maglia della Nazionale maggiore. Più tardi diventerà anche il capitano dell’Italia più giovane di sempre, quando indosserà la fascia a 21 anni e 61 giorni. La stampa sportiva è pazza di lui, tanto è vero che un’istituzione del giornalismo sportivo come Gianni Brera inizierà ad etichettarlo come il nuovo Silvio Piola. Addirittura il Quartetto Cetra, notissimo gruppo vocale nostrano dell’epoca, lo citerà nella canzone Che Centrattacco!. Nicolè conosce dunque prestissimo il successo. Ma questo, come spesso avviene, finirà per fargli perdere velocemente tutto quello che aveva accumulato.

Il veloce declino

Nelle restanti stagioni con la Juventus, Nicolè si dimostra abbastanza continuo nel rendimento ma a ridosso della metà degli anni ’60 inizierà ad avere fastidiosi problemi muscolari che ne condizioneranno la carriera. Inoltre, lo stesso calciatore ebbe svariati problemi nel mantenere un peso forma da atleta nel corso della sua avventura, cosa che influenzò notevolmente il suo percorso calcistico. “Avevo un fisico imponente ma delicato e perdipiù se stavo fermo due giorni per infortunio ingrassavo di chili. Un difensore si può dribblare, ma la bilancia no“, ammise. Nel 1963, dopo più di 50 reti con la Juventus, il club bianconero decide di privarsene per i fattori precedentemente citati. Lo acquisterà la Roma, che nella stagione successiva lo girerà in prestito al Mantova. In Lombardia siglerà soltanto 2 reti in 19 partite e anche l’anno dopo in giallorosso vivrà solo un colpo di reni, ovvero la rete decisiva nella Finale di Coppa Italia contro il Torino.

Pochi mesi dopo Nicolè diede l’addio alla Nazionale e, ormai in fase già calante, cercò un breve riscatto alla Sampdoria. Dopo 8 partite in blucerchiato, però, il club lo spedì in Serie B all’Alessandria, squadra con la quale Nicolè giocò fino al 1967. Dopo la retrocessione in Serie C del club piemontese, Nicolè prende una decisione incredibile: ad appena 27 anni si ritira dal calcio giocato. “Il mio bilancio col calcio è in parità, ho avuto sfortune e fortune. Altri solo fortune, altri solo sfortune. Non posso lamentarmi. Forse tutto è andato troppo in fretta, forse non ero pronto per una carriera da professionista“.

Dopo il ritiro, Nicolè ritrovò sé stesso in un ambito estraneo – almeno in parte – a quello del pallone: si dedicò infatti all’insegnamento, come maestro di educazione fisica nelle scuole elementari. “Conte, Mazzarri, Ventura, lo stesso Mourinho escono dall’Isef. Io a fare l’allenatore non ci ho mai provato, non ne sarei stato capace”, afferma. Nel 2001 è andato in pensione dopo svariati anni di lavoro. La storia di Nicolè è l’emblema di quanto, a volte, bruciare le tappe possa rappresentare l’errore più grande che si possa fare a livello sportivo. Nonostante questo, però, il nome del giovanissimo ragazzino che segnò alla Juventus e alla Francia rimarrà scolpito nella storia, in maniera meritata, indelebile e indimenticabile.

Mariaclaudia Catalano

Giornalista pubblicista, inviata d’assalto classe ‘89, una vita in radio e al tg, content editor per vocazione. Convertita al SEO non posso più farne a meno

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