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Juventus contro Real Madrid, in quel di Cardiff, comunque vada sarà una novità. Da una parte il Real Madrid, bello e impossibile, la squadra che ha giocato due delle ultime tre finali, vincendole entrambe. Una squadra che su tredici finali giocate ne ha vinte undici, una sorta di sentenza di successo quando il pallone comincia a scottare. Nessuno nella storia ha mai vinto la Champions League per due anni consecutivi: se qualcuno può riuscirci sono i Blancos.

La storia delle sei finali perse dalla Juventus: intrecci, corsi e ricorsi

Dall’altra una squadra che nel corso degli anni ha sviluppato una sorta di psicosi di finale europea: su otto gare giocate i bianconeri sono usciti per sei volte con la medaglia d’argento ed un sacco pieno di rimpianti. Sei storie diverse, con lo stesso, triste epilogo. La Juventus ha giocato otto finali per 780 minuti totali, e ne ha passati solamente 34 in vantaggio, la surreale mezz’ora finale dell’Heysel. Un 4,3% dei minuti giocati che con la nuova legge elettorale non basterebbe neanche per entrare in parlamento, per dire.

Se c’è una Juventus che può invertire il trend è questa. Allegri ha plasmato una squadra dai mezzi tecnici enormi ma allo stesso tempo incredibilmente umile, capace di interpretare ogni fase della partita, che non disdegna di difendersi ma che è anche capace di sbranare gli avversari quando attacca. Citofonare Barcellona per referenze.

Miedo escenico

Belgrado, 30 maggio 1973 Ajax-Juventus 1-0 (4′ Rep)

Josè Altafini nella finale di Belgrado

La paura da palcoscenico, spesso associata alla sensazione di atterrimento causata dall’imperioso Santiago Bernabeu di Madrid, stride con la figura della Juventus di squadra tosta. Non è stato sempre così: nel 1973 i bianconeri, alle prese con la loro prima finale di Coppa dei Campioni, sono rimasti nettamente atterriti. Innanzi a loro l’Ajax di Johan Cruijff, la Squadra che ha stampato la voce calcio totale nel vocabolario del futbol. Magistralmente diretti dal maestro Stephan Kovacs, poliglotta rumeno nato a Timișoara, prima città europea ad avere le strade illuminate dalla corrente elettrica.

In quell’occasione i bianconeri, con Zoff e Altafini, furono annichiliti da un colpo di testa di Rep dopo quattro minuti, dal quale non si sono mai più ripresi. I primi venti minuti, nei quali la Juventus è stata letteralmente dominata dagli avversari, sono suonati come un certificato di impotenza. Giampiero Boniperti ricorderà “una serie di errori che ci condizionarono soprattutto psicologicamente: il lunghissimo ritiro, in un luogo isolato e tetro. Il riscaldamento effettuato in un campetto laterale, in modo che i giocatori al loro ingresso in campo, in uno scenario struggente, furono letteralmente paralizzati dall’emozione. Per 20 minuti la Juve non toccò palla

La tragedia greca

Atene, 25 maggio 1983 Amburgo-Juventus 1-0 (8′ Magath)

La delusione di Scirea e compagni dopo la sconfitta contro l’Amburgo

Ad Atene si consumò invece la più clamorosa delle finali perse dalla Juventus, che arrivava in Grecia da stra favorita contro un Amburgo dotato di ottimi giocatori, ma non certo equiparabile ai bianconeri. La squadra di Trapattoni schierava in campo il Pallone d’Oro uscente Paolo Rossi, il genio assoluto di Michel Platini, la leadership di Gaetano Scirea oltre al sempiterno Dino Zoff e al bello di notte Zibì Boniek, uno nato per esaltarsi nelle notti europee. L’Amburgo sembrava niente più che una vittima sacrificale, ma – e il Trap l’ha imparato sulla sua pelle – non dire gatto…

Dopo otto minuti è Felix Magath a segnare da fuori area la rete che vale il vantaggio tedesco. Nonostante il tasso tecnico nettamente superiore, la Juventus non riuscirà mai a riprendersi dalla botta emotiva. Per il primo successo europeo bisognerà attendere altri due anni ed una notte che tutto il mondo bianconero cancellerebbe volentieri dalla sua storia.

Perla ai porci


Il bellissimo gol di Alex Del Piero, unica nota lieta di una serata storta

Monaco, 28 maggio 1997 Borussia Dortmund-Juventus 3-1 (29′ e 34′ Riedle, 64′ Del Piero, 71′ Ricken)

Quando tutto sembrava alle spalle ecco tornare l’incubo delle finali. Prima la maledetta notte dell’Heysel, poi la Coppa, finalmente vinta e festeggiata con tutti i crismi, nel 1996. La Juventus di Marcello Lippi, campione in carica, si presenta con un Del Piero in ascesa e con uno Zidane in più. Il Borussia Dortmund, che a centrocampo schiera l’ex bianconero, anche lui campione in carica, Paulo Sousa, non è di certo favorito.

Emblematico il ricordo del vicepresidente giallonero Puller: “Ero seduto accanto all’Avvocato, mi salutò sorridendo e mi disse: pensate di vincere con i nostri scarti?“. Zidane venne cancellato dal campo dalla coppia Sousa-Lambert e le uscite alte, vero tallone d’Achille di Angelo Peruzzi, fecero il resto. Una perla inutile il gol di Alex Del Piero, andato vicino come mai in carriera al massimo riconoscimento individuale, quel Pallone d’Oro che si è visto strappare da Mathias Sammer.

Psicosi da coppa

Sliding doors

Amsterdam, 20 maggio 1998 Juventus-Real Madrid 0-1 (67′ Mijatovic)

Nel 1998 la Juventus ha perso la sua terza finale da favoritissima: al picco del suo ciclo arriva a disputarsi la terza finale in tre anni contro un Real Madrid non galattico, a secco da 32 anni. Un’era geologica nella capitale spagnola. Alessandro Del Piero era nel punto più alto della sua carriera e veniva da quattro gol in due partite. L’assist in semifinale è da vedere e rivedere in loop: in quel momento Pinturicchio, l’ultimo pre infortunio, è decisivo come nessuno al mondo, come un pugno di uomini nella storia di questo sport.

Il Madrid, reduce da un campionato pessimo, non è ancora quella squadra in maglia bianca che ha fatto e farà tremare tutto il mondo. La coppia d’attacco è composta da Pedrag Mijatovic e Davor Suker. Ci sono Seedorf e Roberto Carlos, non ancora i giocatori affermati degli anni a venire. Eppure, come troppo spesso è successo, i bianconeri hanno fatto una fatica mortale e trovare uno spiraglio e vengono puniti dal gol di Mijatovic. Fine ciclo per la Juve, che rivedrà la finale cinque anni dopo.

Maledetti cartellini

Nedved in ginocchio dopo il giallo che gli costerà la finale

Manchester, 28 maggio 2003 Juventus-Milan 0-0 (2-3 d.c.r.)

Ancora una volta con il giocatore più forte del mondo fra le sue fila, ancora una volta una finale persa. Pavel Nedved disputerà un’annata niente male, che gli varrà il Pallone d’Oro 2003 nonostante la finale di Champions non l’abbia giocata. Già, proprio quel maledetto cartellino giallo nella semifinale di ritorno contro il Real Madrid al minuto 82 che con il regolamento odierno non sarebbe costato la squalifica. La Furia Ceca, il giocatore alfa del pantheon mondiale, in ginocchio, attonito.

Nella finale Antonio Conte colpirà la traversa, che ancora trema, ad Old Trafford: il resto è storia, con lo sguardo glaciale di Shevchenko che decreterà l’ennesima bruciante sconfitta della Juventus in una finale europea. Theater of – broken – dreams.

Troppo presto

Le lacrime di Andrea Pirlo

Berlino, 6 giugno 2015 Juventus-Barcellona 1-3 (4′ Rakitic, 55′ Morata, 68′ Suarez, 90’+7 Neymar)

La sconfitta più recente, forse una delle meno brucianti: la Juventus, arrivata in finale da underdog della competizione, ha dovuto affrontare una squadra sulla carta tecnicamente di molto superiore. Nonostante un centrocampo da sogno con un Pirlo all’ultimo anno di vera carriera prima dell’esilio dorato negli States c’è stato davvero poco da fare. Troppo presto per poter sognare in grande ed arrivare a giocarsela alla pari sulla carta con i più grandi d’Europa.

Nonostante tutto i bianconeri dopo il pareggio di Morata hanno davvero pensato di poterla vincere, in quello che è stato probabilmente l’unico momento della gestione Allegri in cui la squadra ha peccato di superbia. Una convinzione durata poco più di 10 minuti, il tempo che Suarez ponesse il punto esclamativo sul match.

Mariaclaudia Catalano

Giornalista pubblicista, inviata d’assalto classe ‘89, una vita in radio e al tg, content editor per vocazione. Convertita al SEO non posso più farne a meno

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