Sulla mia pelle storia vera differenze film realtà

Luca Incoronato
14/04/2022

Sulla mia pelle storia vera differenze film realtà

Sulla mia pelle è un film duro, un pugno nello stomaco che racconta l’ultima settimana di vita di Stefano Cucchi, con un Alessandro Borghi da applausi.

Il lavoro svolto con il film Sulla mia pelle è magistrale. Il film non fa che mostrare fatti su fatti, scaraventando il peso della realtà sulle coscienze degli spettatori. Un colpo così forte e diretto da spingere a chiedersi: è tutto vero?

Sulla mia pelle, differenze film e realtà

Risolviamo la questione in maniera semplice. Al di là delle polemiche seguite all’uscita del film, che ancora proseguono, non vi sono differenze tra quanto mostrato in Sulla mia pelle e la realtà dei fatti. Le sentenze hanno posto la parola fine al caso, dopo l’inferno attraversato in prima persona da Ilaria Cucchi, confermando queste parole.

Si può discutere in merito ai singoli scambi di battute, in alcuni casi, ma non sui fatti. Quelli restano e sono veritieri. Stefano Cucchi è stato ucciso. Non è morto di droga. Il suo stile di vita non ha giocato alcun ruolo nel suo decesso.

Parlare oggi, ancora, di come la droga uccida, a fronte di commenti sulle sentenze che condannano gli artefici e tutti coloro che hanno collaborato a confondere le acque, è solo propaganda becera da dare in pasto a odiatori seriali. Non un esempio a caso, dal momento che è esattamente quanto accaduto con Matteo Salvini. Preferendo barricarsi dietro a un “Prendo atto”, ha poi attaccato la giornalista a caccia di un commento relativo tanto alla condanna quanto alle sue stesse parole anni fa. Si va così da “Lei fa comizi più che domande” a “Ogni Paese ha la stampa che si merita”.

Caso Cucchi: condannati i carabinieri

La Corte di Cassazione ha condannato in via definitiva i carabinieri Alessio di Bernardo e Raffaele D’Alessandro nel processo per la morte di Stefano Cucchi. Una sentenza a 12 anni di carcere per omicidio preterintenzionale a entrambi. Ne è trascorso di tempo da quel 22 ottobre 2009 ma giustizia è stata fatta.

Confermata la condanna di primo grado, aumentata di un anno in Appello dopo l’esclusione delle attenuanti generiche. La Cassazione ha però deciso di rimuovere quell’anno. Quanto sancito rende ancora più aberranti i commenti di parte del fronte politico italiano, forte al tempo di pregiudizi prima e di un’assoluzione per i tre agenti in un primo processo finito nel 2013. Il secondo ha visto la presentazione di nuove prove, che hanno confermato senza ombra di dubbio il pestaggio risultato mortale.

La ricostruzione degli eventi è stata facilitata dalla collaborazione del carabiniere Francesco Tedesco. Questi aveva ammesso d’aver assistito al pestaggio, raccontando come fosse avvenuto la notte del 15 ottobre, mentre Cucchi era in stato di fermo dai carabinieri, condotto presso la caserma Appia di Roma. Tutto ebbe inizio dopo il rifiuto del ragazzo di farsi prendere le impronte digitali.

A quel punto Di Bernardo lo colpì con uno schiaffo violento al viso, mentre D’Alessandro gli diede un calcio con la punta del piede. Da qui ulteriori violenze, con la testa sbattuta a terra con violenza e calci in faccia. A quel punto Tedesco avrebbe fermato i suoi colleghi, aiutando Cucchi. Il processo legale si è davvero concluso, in toto, dal momento che sono stati condannati anche gli otto carabinieri accusati di depistaggio. A causa loro la verità è venuta a galla dopo più di un decennio.

L’ordine di insabbiare le prove partì dal generale Alessandro Casarsa, al tempo comandante del Gruppo Roma dei carabinieri. Per lui una condanna a 5 anni. Un anno e tre mesi per Lorenzo Sabatino, ex capo del nucleo operativo di Roma. Cinque anni e sei mesi per Francesco Cavallo, al tempo capoufficio del Gruppo Roma. Cinque anni per Luciano Soligo, che era comandante della Compagnia Montesacro. Un anno e un mese per Massimiliano Colombo Labriola, ex comandante della stagione di Tor Sapienza. Tre anni e tre mesi per Francesco Di Sano, al tempo in servizio a Tor Sapienza. Quattro anni per Tiziano Testarmata, all’epoca comandante della quarta sezione del Nucleo investigativo. Cinque anni, infine, per Luca De Cianni.

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