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La storia di Gran Torino, il successo firmato Clint Eastwood sul tema del razzismo negli Stati Uniti: come finisce e qual è il significato del film.

Gran Torino è un film del 2008 diretto e interpretato da Clint Eastwood su sceneggiatura di Nick Schenk, che ha riscosso un gran successo di pubblicoe critica ed è tutt’oggi tra i film più apprezzati del regista e attore statunitense, anche per le tematiche che tratta.

Eastwood interpreta un vecchio e burbero reduce della guerra in Corea rimasto a vivere della decadente periferia di Detroit, sempre più popolata da immigrati asiatici, con crescenti problemi di criminalità. Qui, mentre cura la sua Ford Gran Torino, fa amicizia col suo giovane vicino di casa Thao (Bee Vang).

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Gran Torino: il finale del film

Nel corso del film, la situazione nel quartiere diventa drammatica, e un gruppo di delinquenti spara contro la casa in cui vive Thao, ferendolo lievemente; inoltre, alcuni di essi rapiscono e violentano Sue, la sorella del ragazzo. Walt, il protagonista col volto di Eastwood, decide di reagire, e così si reca alla casa dove vivono i criminali, minacciandoli: finge di mettere mano a una pistola, e così facendo si fa sparare e uccidere.

Con il suo sacrificio, però, Walt fa sì che la banda venga arrestata, non disturbando più il quartiere. Alla lettura del suo testamento, scopriamo che il vecchio ha lasciato la propria casa alla Chiesa, come avrebbe voluto la moglie da tempo morta, e la sua Gran Torino a Thao.

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Gran Torino, il significato del film

Il finale del film di Eastwood ha un doppio valore metaforico. Il primo, quello più evidente, riguarda il futuro stesso degli Stati Uniti: Walt rappresenta il passato, e non è un caso che viva a Detroit, città simbolo dell’indutria automobilistica statunitense da tempo in una profonda crisi economica e sociale. La sua Ford Gran Torino rappresenta l’ideale americano, che lui dovrà lasciare in eredità alle nuove generazioni, che sono composte da immigrati e che Walt scoprirà essere migliori delle nuova generazioni di americani bianchi (i suoi figli e nipoti, che detesta).

Un altro aspetto è quello metacinematografico, sulla carriera dello stesso Clint Eastwood. Il finale di Gran Torino è costruito come un grande film western, di quelli che hanno celebre in gioventù l’attore e regista statunitense: Eastwood sembra andare a casa dei criminali per fare una strage, da autentico pistolero, e invece il suo è tutto uno stratagemma per farsi uccidere e, controintuitivamente, sconfiggere i nemici così. È un messaggio sul rifiuto della violenza, che può andare bene in un vecchio film d’avventura, ma nella vita vera non porta a nulla.

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Mariaclaudia Catalano

Giornalista pubblicista, inviata d’assalto classe ‘89, una vita in radio e al tg, content editor per vocazione. Convertita al SEO non posso più farne a meno