Re Giorgio malattia: perché era pazzo

Danilo Budite
13/05/2023

Re Giorgio malattia: perché era pazzo

Re Giorgio III è passato alla storia come il re pazzo: di quale malattia soffriva il sovrano d’Inghilterra e perché si è guadagnato questo appellativo

Al fianco della regina Carlotta, nello spinoff di Bridgerton troviamo anche un giovane Giorgio III, interpretato da Corey Mylchreest. Nonostante la finzione sia l’elemento che prevale nella serie di Netflix, i due personaggi sono ispirati ai due veri sovrani che hanno guidato l’Inghilterra nella seconda metà del 700 e sia la regina Carlotta che re Giorgio sono stati due protagonisti importanti della storia del Regno Unito, con un’eco che ha impegnato molto gli storiografi. Se la questione principale relativa alla regina Carlotta è quella sul colore della sua pelle, per quanto riguarda re Giorgio III la questione più calzante è legata alla sua malattia. Il sovrano è passato alla storia come il re pazzo, colpito da una malattia, presentata anche in Bridgerton, di cui allora non si sapeva nulla. Oggi la storiografia ha stabilito che la malattia di re Giorgio era la porfiria, un male ereditario e raro che si ricollega a un’alterazione dell’attività di un’enzima che opera nel sangue. È stata questa malattia a incidere tantissimo sulla salute del sovrano, che però allora era considerato semplicemente colto da un attacco di follia e per molto tempo si è pensato che fosse pazzo. I primi cenni di squilibrio mentale per re Giorgio arrivarono nel 1765 e da allora, di tanto in tanto, sono tornati a impensierire il sovrano, ledendo la sua attività, ma senza complicarla irreparabilmente. La situazione ha iniziato a degenerare nel 1788, quando la mente di re Giorgio III ha cominciato a vacillare terribilmente, causandogli problemi di memoria e comportamenti insoliti. Il sovrano ha ricevuto tutte le cure dell’epoca, che chiaramente non erano lontanamente capaci di contrastare una malattia del genere, e piano piano il re cominciò a relegare le proprie attività al primo ministro William Pitt, fino al 1801, anno in cui Pitt diede le sue dimissioni in concomitanza col miglioramento delle condizioni di salute del re, che però precipitarono ulteriormente qualche anno dopo, con Giorgio III che progressivamente perse quasi totalmente coscienza di ciò che gli avveniva intorno, come la cecità e la sordità a completare un quadro clinico disastroso, che ha portato poi alla morte del re nel gennaio 1820.

Re Giorgio figli

Per tutta la sua vita re Giorgio ha avuto al sua fianco la regina Carlotta, sposata quando lei aveva appena 17 anni e che gli è stata accanto nei momenti più bui della malattia, non facendogli mai mancare il suo sostegno. Il loro fu un amore estremamente prolifico, visto che dal loro matrimonio nacquero ben 15 figli: un record per la storia della famiglia reale britannica. Si dice che la regina Carlotta soffrisse moltissimo questa situazione, augurandosi che ogni nuovo figlio fosse, ogni volta, l’ultimo, ma ha comunque cresciuto tutta la sua prole, destinata chiaramente a un futuro luminoso. Re Giorgio e la regina Carlotta ebbero, come detto, 15 figli, divisi tra sei paschi e nove femmine. Due di loro divennero re d’Inghilterra, ovvero Giorgio IV e dopo di lui Guglielmo IV. Altri, invece, ereditarono diversi titoli nobiliari o incarichi speciali. In ordine di nascita, Federico Augusto, il secondogenito della coppia, divenne comandante del British Army e duca di York, mentre Carlotta, la prima femmina della coppia, divenne regina del Wurttemberg sposando re Federico I. A seguire, Edoardo divenne Maresciallo del British Army e soprattutto diede alla luce quella che sarebbe divenuta la famosissima regina Vittoria, poi Ernesto Augusto divenne re di Hannover, Augusto Federico gran maestro della prima loggia d’Inghilterra e Adolfo vicere di Hannover. I due ultimi maschi, Ottavio e Alfredo, morirono molto piccoli: il primo a 4 anni, il secondo a quasi due. Per il resto, le altre figlie della coppia andarono in spose a nobili di altri paesi o del Regno Unito per creare alleanze politiche.

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