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Burt Young è stato il vero pugile di Rocky, la storia dell’attore che ha interpretato Paulie

È morto l’attore Burt Young ma, senza una foto a corredo della notizia, la reazione di molti non sarebbe altro che una leggera smorfia. Fronte corrucciata, rughe intorno agli occhi e mente che vaga alla ricerca di un appiglio. Ancora peggio, poi, se si dovesse usare il suo vero nome, quello di battesimo, invece dello pseudonimo artistico: Gerald Tommaso DeLouise. In molti neanche ci proverebbero. Tutt’altra storia, invece, nel leggere che, purtroppo, all’età di 83 anni, è morto Paulie. Per molti questi sarebbe abbastanza, ma per tutti gli altri aggiungiamo: Paulie di Rocky. Ecco, ora che abbiamo spiegato come questi tre nomi siano in realtà la stessa persona, un po’ come la santa Trinità della saga di Balboa, proviamo a spiegare perché, tra i due, il vero pugile non è mai stato Sylvester Stallone.

Dieci ore dopo aver lanciato online il trailer ufficiale del suo documentario, Sly si è così ritrovato a salutare un grande amico del passato. Foto dal set in bianco e nero e poche parole sentite: “Al mio caro amico Burt Young. Tu eri una persona e un artista incredibile. Io e il mondo sentiremo enormemente la tua mancanza”. Quella di Paulie Pennino è stata, del resto, una figura chiave nella narrazione dell’opera più importante della carriera dell’attore, regista, sceneggiatore e produttore italo-americano. È stato presente in tutti i film realizzati, dal 1976 in poi, sempre con il ben noto talento e quell’atteggiamento di chi odia il mondo, che gli consentiva di connettersi immediatamente con il pubblico. Sei pellicole ritraggono Paulie in differenti sfumature, dalla durezza alla dolcezza, passando per una certa dose di ingenuità bambinesca. Un’interpretazione che nel 1977 lo ha visto prendere parte alla notte degli Oscar da protagonista. Era infatti uno dei candidati all’ambita statuetta (unica volta in carriera, ndr) come miglior attore non protagonista. Sarebbe stato semplicemente splendido vedere Paulie Pennino salire quelle scale e leggere un discorso di ringraziamento da consegnare alla storia. Un riconoscimento andato invece alla rappresentazione del direttore del Washington Post Ben Bradlee, interpretato da Jason Robards in Tutti gli uomini del presidente.

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Storie di ring e cicatrici

Burt Young non ha mai smesso di recitare, e di certo Rocky non ha rappresentato per lui inizio e fine carriera. Eppure è difficile riportarlo alla mente, perché era solito perdersi nei suoi personaggi, spesso piccoli, senza lasciar intravedere sé. In fondo è questa l’arte del recitare, non il mettersi in vetrina nella speranza di un plauso e un nuovo contratto. È così che si lavora, con estrema serietà, a più di 100 produzioni in 50 anni di carriera. Prima di Rocky, era entrato nel cast di Chinatown di Roman Polanski. In seguito, nel 1984, in quello di C’era una volta in America di Sergio Leone.  Spazio alla commedia, con Mickey occhi blu, al fianco di Hugh Grant, e Pluto Nash insieme con Eddie Murphy. Presente in Transamerica e, guardando alla televisione, Miami Vice, e ancora Colombo, Law & Order, I Soprano e Russian Doll. Wikipedia li elenca tutti, andate a fare una ricerca e magari provate a recuperare qualche titolo cinematografico o singolo episodio di una serie per puntare il dito e salutare Paulie in veste differente. Cosa che in genere viene soltanto accennata, però, è la sua vita sul ring, prima di quella sul set. Girano un po’ di voci in merito e Imdb offre qualche numero in relazione alle sue presunte statistiche. Ci torneremo dopo, forse, non so. Ciò che maggiormente ci interessa è un articolo del 1985, pubblicato dal Los Angeles Times e con firma di Joe Gergen. In quel periodo la sceneggiatura di Rocky IV era già stata completata e a marzo avrebbero avuto inizio le riprese. Burt Young aveva però un appuntamento con il ring ben prima di quella data. Il 23 febbraio era infatti ad Atlantic City per incitare David Sears, essendo stato uno dei suoi manager.

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Diciamo pure che le cose non andarono esattamente come l’attore avrebbe voluto, ma questa è un’altra storia. Quello che ci interessa, è tutto nella cicatrice del volto di DeLouise, che risaliva a un incontro a Springfield, e nei denti scheggiati, regalo ricevuto a Sunnyside Gardens. Sapeva di certo dire la sua tra le corde e lo dimostra il fatto d’aver vinto la quasi totalità degli incontri disputati nei Marine, ben 32 su 34. Nessuna sconfitta nel proprio record personale, poi, nei 14 match da pugile professionista. Rocky sarebbe stato fiero. Se solo qualcuno prestasse attenzione a questa storia, ne verrebbe fuori una pellicola da far impallidire The Fighter di David O. Russell. Perché non puoi non restare in silenzio ad ammirare la rappresentazione di un uomo che, candidamente, ammette d’essere salito ogni sera su quel ring quando “ero infelice a casa”. La boxe come terapia e maestra di vita, di certo durissima sul volto e il costato, ma sempre vera, fino alla fine. Non era a caccia di gloria. Vincere era importante ma non ciò che stava cercando su quel ring. Combattere lo ha tenuto probabilmente in vita. Un bisogno irrefrenabile, come dimostra il fatto che si prenotasse per incontri distanti appena due settimane, per poi tentare di perdere 30 kg. Tutto ciò grazie ai suoi stravaganti allenamenti. Se Rocky Balboa è divenuto celebre anche per la sua capacità di trasformare quasi qualsiasi cosa in uno strumento di rinascita fisica e mentale, un bel po’ di merito lo si deve anche a Burt Young. Dalle corse in strada alle quattro di mattina, con un mattone in ogni mano, al finto match, con colpi tirati all’aria, stringendo quegli stessi mattoni nel palmo. Fino ad arrivare agli pneumatici trascinati sull’asfalto, con sopra poggiata una persona. Come sappiamo tutto ciò? È quanto ha dovuto patire David Sears con il suo manager, prima di potersi recare in una struttura canonica alle Catskills con un allenatore professionista. Una leggenda. Poco altro da aggiungere. E ora non vi resta che recuperare l’intera saga e, per una volta, guardare con sguardo differente quel rancoroso piccolo uomo dalle spalle larghissime.

Luca Incoronato

Giornalista pubblicista, orgoglioso classe '89. Mai avuto alternative alla scrittura, dalle poesie d'amore su commissione in terza elementare al copywriting. Appassionato di cinema e serie TV, pare io sia riuscito a farne un lavoro